Tettamanzi ai malati: «La cura più preziosa è la preghiera»

La preghiera è una cura preziosa per le famiglie in difficoltà, in particolare quelle che ospitano dei malati. «C’è una consolazione del cuore e dell’anima che passa per le vie nascoste ed efficaci della preghiera e c’è una comunione d’amore in Dio che va ben oltre le apparenze umane», scrive l’arcivescovo di Milano, Dionigi Tettamanzi, in una lettera rivolta alle «Famiglie nella prova». La lettera, stampata in centomila copie, è stata presentata ieri a Milano in occasione della sua visita all’Istituto tumori.
Tettamanzi ha raccolto le confidenze di molte famiglie: il desiderio è quello di stare loro vicino. «Si deve riconoscere che nella nostra Chiesa e nella nostra società - sostiene - si fa tanto, si impegnano molte persone e molte risorse: che siano benedetti tutti, persone e istituzioni, che si prendono cura di te, dei tuoi cari, del problema che inquieta».
Nella lettera il cardinale racconta la storia di tre famiglie colpite dalla malattia: la prima è quella di una mamma malata. «La malattia di una giovane mamma - scrive - non visita una casa senza provocare domande tremende. La fede è messa alla prova. La prova può dare come esito una cupa disperazione. Però può anche radunare tutta la famiglia perché impari di nuovo a pregare insieme». L’invito è alla preghiera in famiglia, «spesso cancellata da un incomprensibile ma invincibile imbarazzo».
Le vicende della malattia, scrive ancora Tettamanzi, rivelano «che la città intera vive di una rete di relazioni buone che potrebbero farne una vera fraternità». La seconda storia è quella di nonna Maria e di una famiglia «costretta a cambiare ritmi di vita e ad assumere nuove e gravi responsabilità». Un po’ di sollievo, scrive il cardinale, «viene dalle strutture di accoglienza, dove i progressi della scienza si traducono in aiuto specifico per chi è malato e in sollievo per chi se ne deve fare carico. Il personale che vi lavora è spesso ammirevole per pazienza, delicatezza, tenacia».
L’ultima storia è quella di una coppia con un figlio malato.

«Ho incontrato mamme e papà che hanno ricevuto la diagnosi sul loro bambino come una ferita che non è mai più guarita: ne è venuta la disperazione» scrive Tettamanzi. «Ci sono però mamma e papà che si sono lasciati condurre piano piano dal figlio che non poteva camminare ma li ha portati lontano».

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