Il thriller di McKinty incatena alla pagina (e alla paura)

Lo scrittore irlandese era allo sbando. Ma aveva un fan d'eccezione: Don Winslow. E il nuovo libro è un capolavoro

Il thriller di McKinty incatena alla pagina (e alla paura)

Per parlare di The Chain il nuovo, straordinario thriller di Adrian McKinty, pubblicato in Italia da Longanesi (pagg. 352, euro 19,50, traduzione di Alberto Pezzotta), dobbiamo partire da lontano. Perché solo così, potremo capire come l'autore sia riuscito a vedere sugli scaffali delle librerie questo suo romanzo che oggi sta scalando le classifiche di mezzo mondo.

McKinty è nato a Belfast, ha studiato legge all'università di Warwick e filosofia a quella di Oxford, per poi vivere a New York. Nel 2008 si è trasferito a Melbourne in Australia divenendo scrittore a tempo pieno, abbandonando il lavoro di insegnante di college, grazie al notevole successo del suo romanzo d'esordio, lo splendido Dead I Well May Be, pubblicato da Scribner, un noir durissimo ambientato a New York che racconta la guerra fra bande di immigrati irlandesi. Protagonista di quella storia è Michael Forsythe che ha abbandonato Belfast durante gli anni del Conflitto Nordirlandese e che si ritrova al soldo di Darkey White, boss di una gang locale, facendo l'errore di innamorarsi della sua donna. In quello che si rivelerà un romanzo fortunato, finalista di numerosi premi, incontriamo per la prima volta il marchio di fabbrica di Adrian McKinty: una scrittura dark e lirica insieme, sporca, maledetta, dritta come un fuso, che non lesina affatto sulle sequenze d'azione e su esplosioni di violenza grafica che rimandano a un certo cinema d'autore, penso per esempio a un film come A Prayer for the Dying di Mike Hodges con Michey Rourke e Liam Neeson, tratto peraltro da uno splendido romanzo di Jack Higgins o a Trespass di Walter Hill con Bill Paxton scritto da Bob Gale e Robert Zemeckis.

Quel romanzo, pubblicato anche in italiano da Rizzoli, con il titolo Ballata irlandese, ottiene riscontri talmente buoni da fare in modo che McKinty possa scriverne altri due con il medesimo protagonista, firmando quella che diverrà la trilogia di Michael Forsithe, più una seconda trilogia e una messe di romanzi autoconclusivi, fra i quali voglio citare perlomeno l'affascinante 50 Grand, una storia di vendetta da brividi, che personalmente ho adorato e spero possa essere presto pubblicato in Italia. Arriva anche una lunga e entusiasmante serie hard boiled, ambientata a Belfast durante gli anni dei Troubles con protagonista il detective Sean Duffy che frutta all'autore riconoscimenti prestigiosi e traduzioni in parecchie lingue. Succede però che, pur vincendo tutti i più importanti premi americani dedicati al genere crime l'Edgar, l'Anthony, il Barry e il più significativo in Australia il Ned Kelly e nonostante divenga critico per alcuni dei più importanti quotidiani del globo Herald, Washington Post, Irish Times - la fortuna commerciale dell'autore vada sbiadendo. La critica lo osanna ma purtroppo il genere scelto, la mancanza di promozione, e più in generale le mille difficoltà di un mercato editoriale sempre più asfittico, condannano McKinty a diventare un autore di culto che tuttavia non riesce a vivere di scrittura, al punto che per arrotondare è costretto a lavorare part time e infine, in un gioco di specchi, a trasformare la scrittura in un lavoro saltuario, rispetto a quello che porta il pane in tavola. Sfrattato dalla casa in affitto, diventa autista di Uber e cameriere in un locale. Sul suo blog, nel 2017, dichiara infine di aver abbandonato la scrittura.

Succede però che un suo lettore appassionato, Don Winslow, nell'apprendere una simile notizia, decida di spedire alcune copie dei suoi libri al proprio agente, lo sceneggiatore e produttore cinematografico Shane Salerno. Il re americano della crime fiction decide poi di telefonare a McKinty, chiedendogli di non mollare, perché lui vuole leggere il suo prossimo romanzo. Nel frattempo Salerno, a sua volta entusiasta di quel che legge, si procura il numero di telefono di McKinty e lo chiama. In Australia è mezzanotte. Gli chiede se sta scrivendo qualcosa perché gli piacerebbe poterlo rappresentare come agente, vendendo una sua storia americana. McKinty dice di avere un buon romanzo in mente ma che per poterlo scrivere deve prima rimettere in sesto le proprie finanze. Salerno gli chiede di cosa parla e McKinty gli racconta di una storia che aveva letto quando si trovava a Città del Messico a proposito degli «scambi di sequestrati»: rapivano una persona e mentre si raccoglieva la somma per il riscatto un altro membro della stessa famiglia si offriva di prendere il suo posto. E questa storia terribile, McKinty sta pensando di combinarla con le catene di Sant'Antonio che si scrivevano per lettera negli anni '70 e '80 nell'Irlanda del Nord a Carrickfergus dove è cresciuto, quando era ragazzino. Erano lettere di minaccia e chi le riceveva doveva farne un certo numero di copie e spedirle, altrimenti un suo familiare sarebbe morto. Salerno è entusiasta del concept, gli raccomanda di ambientare tutto in America e che aspetta il manoscritto ma McKinty ribadisce che non ha nemmeno i soldi per arrivare a fine mese. E allora Salerno gli propone di versargli quel giorno stesso diecimila dollari sul conto corrente, affinché possa dedicare i tre mesi successivi alla scrittura. I soldi arrivano come promesso e McKinty si mette alla scrivania. Nell'arco di una notte butta giù le prime trenta pagine e le manda via mail all'agente. Salerno richiama dicendo che sono davvero buone e ora ne servono altre trecento. Completato il lavoro, McKinty invia il manoscritto. Pochi giorni dopo riceve un'altra telefonata da Shane Salerno: il romanzo è stato venduto in un contratto a sei cifre a Mulholland Books, etichetta di Little Brown, e Paramount ha comprato i diritti cinematografici per farne un film. Nelle settimane seguenti, The Chain verrà venduto in 31 Paesi nel mondo. Quando viene pubblicato, il romanzo schizza nella Top Ten del New York Times in America e del Sunday Times in Inghilterra: Adrian McKinty è fuori dal tunnel.

Fin qui, dunque, l'incredibile storia di un romanziere di talento, salvato dalla stima di un autore di grande successo come Don Winslow e da un agente letterario formidabile. Ma cosa ci farà amare perdutamente The Chain, il thriller in uscita in questi giorni per Longanesi?

Anzitutto, il meccanismo terrificante alla base della storia che non rivelerò ma che intuirete immediatamente dalle prime pagine. È qualcosa di talmente perverso e inquietante da lasciare senza fiato, tanto più perché accade nella vita di una persona normale, una come tante, non un detective tutto d'un pezzo, un investigatore con un fenomenale talento per le indagini o un poliziotto tutto azione, intuizioni e muscoli. No, niente di tutto questo: Rachel Klein è una donna assolutamente normale, madre di famiglia, divorziata. E deve affrontare una situazione agghiacciante con le sue sole forze. Questa è la prima, geniale caratteristica di questo thriller straordinario. C'è poi un ritmo narrativo davvero mozzafiato, che non lascia tregua, non offre momenti di pausa. McKinty sembra avere scritto il romanzo in apnea, che è l'esatta sensazione provata dal lettore quando affronta le pagine, al punto che è stato proprio Stephen King a dire che si tratta di un romanzo: «Spaventoso, travolgente, originale!». Difficile dar torto a un maestro. La tensione non si abbassa. Mai. La scrittura di McKinty non concede nulla al virtuosismo o all'autocompiacimento, la sua prosa è limpida ed efficace ed è proprio in questa lucida essenzialità la sua grandezza. I personaggi, lungi dall'essere macchiettistici o figli di certi stereotipi, sono reali, pieni di dubbi e contraddizioni, sinceramente e profondamente umani come devono essere in un grande romanzo. Sono messi alla prova, cambiano e si adattano per sopravvivere, compiono scelte dolorose, terrificanti ma in questo sta la magia di una storia straordinaria come questa e la sua allucinante, adrenalinica bellezza. Non c'è nulla che suoni falso o artefatto, tutto è assolutamente plausibile, probabile, verosimile ed è esattamente questo a spaventarci. È nel «potrebbe capitare anche a noi» che questo romanzo non solo vince ma stravince, rivelandosi un'esperienza drammaticamente possibile anche se, ovviamente, non augurabile a nessuno ed è questo a fare davvero paura.

In questo sta anche la forza dell'invenzione: essere riuscito a creare un meccanismo narrativo e una trama finalmente originale che si discosta in pieno da tutto quello che avete letto finora. In un certo senso McKinty ridisegna completamente i confini del thriller e lo traghetta direttamente nel terzo millennio al punto che, dopo questo romanzo, sembrano aprirsi nuove frontiere per questo tipo di letteratura, proprio come riuscì a Stephen King con capolavori come It o Cujo. In questo, credo, sta la grandezza di un romanziere: nel saper affrontare un certo tipo di letteratura per rifondarla completamente.

McKinty è da sempre un grande autore ma in questa sua storia riesce a dare il meglio di sé, come accadde in Dead I Well May Be, e forse proprio la situazione estrema nella quale si è trovato gli ha consentito di firmare la sua storia più bella e quella che lo ha consacrato a nuova star mondiale del thriller.

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