Il Tibet occupa il municipio

«Tibet libero, Tibet libero». Lo slogan, scandito a ripetizione nei megafoni e riproposto per iscritto nella lunga e sottile striscia di tessuto che apre il corteo, scuote come un’onda anomala la torrida e silenziosa mattinata del quartiere Monte Sacro. Auto e bus si fermano in mezzo alla strada, insieme con i passanti e i vigili che non sanno bene come reagire. Sono passate da dieci minuti le undici quando, a via Monte Rocchetta, inizia «l’azione» coordinata di Laogai, Reporters sans frontieres, Rosso Trevi e Popoli. L’obiettivo è quello di occupare pacificamente il IV Municipio, srotolando dal piano superiore un enorme striscione: manette al posto dei cerchi olimpici. E, in basso, un riferimento ancora più esplicito al destinatario della protesta degli attivisti: «Pekin 2008». Bersagliato pure negli slogan: «Cina, imperialista, ti cacceremo via. Ma che dialogo è, è solo ipocrisia».
«Siamo qui per esprimere la nostra solidarietà al popolo tibetano oppresso. Abbiamo scelto questo luogo perché nel nome richiama alla mente le quattro verità del Buddha», spiega Toni Brandi, presidente di Laogai Italia, l’associazione che prende il nome dai campi di concentramento del regime comunista, dove per diciotto ore al giorno sono costretti al lavoro forzato sia uomini che donne, a tutto vantaggio dell’amministrazione centrale e delle multinazionali che hanno i loro interessi economici in Oriente. Una barbarie istituzionalizzata che è solo una spia delle tante violazioni dei diritti umani perpetrate dal governo centrale di Pechino. «Dove 30 giornalisti si trovano al momento in carcere, così come circa 50 cyber-dissidenti», ricorda Silvia Benedetti, responsabile dell’ufficio italiano di Reporters sans Frontieres.
Sono una mezza dozzina i monaci buddisti arrivati a Roma per esprimere il loro dissenso. Tra loro c’è l’abate Gesce Lobsan Wang Du, scappato in India nel 1949: «I cinesi hanno occupato i nostri territori - racconta - sono 50 anni che denunciamo la nostra situazione, ci sentiamo ignorati dal mondo». Proprio per abbattere questa coltre di silenzio le manifestazioni di protesta andranno avanti. E sarà un autentico crescendo rossiniano: si parla del Campidoglio e di altri palazzi del potere capitolino, ma soprattutto di un’azione che vedrà come protagonista domani l’artista futurista Graziano Cecchini, che a Fontana di Trevi e piazza di Spagna ha già dimostrato tutta la sua inventiva. Ieri intanto in IV Municipio, dopo l’iniziale stupore, il presidente Cristiano Bonelli ha voluto incontrare una delegazione e ha promesso, in cambio della rimozione dello striscione dalla facciata dell’edificio, di issare la bandiera tibetana in coincidenza con l’inizio delle Olimpiadi, come segno di solidarietà al popolo oppresso. Quella stessa bandiera che, sempre ieri, è stata posta sulla torretta di Ponte Milvio. «Tra le tante occupazioni illegali e abusive che questo territorio ha conosciuto - ha invece affermato Francesco Filini, assessore alle Politiche Sociali - certamente questa è la più gradita per il suo valore simbolico».

Importante anche il contributo dato da Bruno Petrella, consigliere del Pdl alla Provincia, che ha invece sollevato la questione dei cani e gatti spellati vivi dal regime cinese per esportare le loro pelli in tutto il mondo. Un’altra faccia di Pechino, lontana dagli stadi e delle medaglie, che le manifestazioni di questi giorni intendono portare in primo piano.

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