«Tigri asiatiche» alla sfida CO2

Li chiamano ancora Paesi in via di sviluppo. Però alcuni di loro - Cina e India in testa - questa «via» la stanno percorrendo ormai da anni, e a una velocità che i nostri mercati neppure si sognano. E così, quando si parla di temi legati all’energia, non è più possibile relegarli tra le comparse. Anche perché il trend dei loro consumi, e quindi delle emissioni d’anidride carbonica, viaggia a un ritmo doppio rispetto a quello della parte più industrializzata del globo: nel 1970 erano un quarto, oggi sono i due terzi ed entro il 2020 si prevede il sorpasso, alla quota di 15 miliardi di tonnellate di CO2 all’anno. Addirittura, secondo i calcoli dell’Agenzia olandese dell’ambiente, in fatto di emissioni nocive la Cina avrebbe già superato gli Stati Uniti. Tutta colpa di uno sviluppo industriale travolgente, e del conseguente gigantesco sforzo energetico, che se da un lato sta contribuendo a liberare dall'indigenza milioni di persone, dall’altro costituisce un problema per l’equilibrio ambientale del pianeta. Basti pensare che nel periodo governato dal Protocollo di Kyoto (che termina nel 2012), le «tigri asiatiche» Cina e India costruiranno oltre 800 centrali elettriche a carbone.

Che produrranno una quantità di anidride carbonica dalle 3 alle 5 volte superiore a quella che lo stesso Protocollo ha fissato come obiettivo mondiale di riduzione della CO2.

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