Tintin: museo e asta per 80 anni da mito

Nel 1929 usciva la prima avventura del piccolo reporter nato dalla penna del disegnatore belga Hergé che ha fatto impazzire milioni di bambini. In vendita oltre 600 oggetti legati al personaggio e a giugno un museo dedicato a suo "papà"

Tintin: museo e asta 
per 80 anni da mito

Indimenticabile Tintin. È uno dei personaggi dei fumetti più famosi (e amati, ma anche contestati per via del passato politico del suo creatore...) della storia della «bande dessinée». Fu creato dal belga Georges Remi (1907-1983) - in arte Hergé - nel 1929. La prima avventura di Tintin fu pubblicato in francese il 10 gennaio 1929 nel settimanale belga a fumetti «Le petit Vingtième», supplemento del quotidiano della destra cattolica ultraconservatrice «Le vingtième siècle». Quindi 80 anni fa. E domani, per celebrare l'anniversario, località belga di Namur è stata organizzata una vendita all'asta milionaria: oltre 600 oggetti legati al più famoso reporter della storia del fumetto, il piccolo Tintin. Oltre a "pezzi" dal costo abbordabile come album o altro merchandising più o meno da collezione, ci saranno anche oggetti più rari come una statuetta di bronzo di 72 cm dello scultore Nat Neujan, del valore stimato di 25mila euro; il clou è costituito da tre strisce inedite in bianco e nero e due a colori, valutate almeno 70mila euro.
Sempre per celebrare l'ottantesimo anniversario un gigantesco fumetto di 672 metri quadrati (raffigurante il razzo bianco e rosso con il quale Tintin raggiunge la Luna in una delle più celebri delle sue 24 avventure) ricoprirà fino a domenica la Grand-Place di Bruxelles, mentre il prossimo 2 giugno si aprirà a Louvain-la-Neuve, non lontano dalla capitale belga, il Museo Hergé. Una degna celebrazione di una carriera trionfale che lo rendono uno dei fumetti più famosi d'Europa con vendite totali che raggiungono i 200 milioni di esemplari, e questo nonostante le ricorrenti polemiche: Tintin è stato accusato di conservatorismo, anticomunismo, misoginia, omosessualità e razzismo; mentre il suo creatore, Georges Remi, a causa della sua presenza professionale nell'ambiente della destra cattolica estrema (esplicita area di riferimento del giornale per cui lavorava) e la successiva collaborazione col quotidiano «Le Soir» nel periodo in cui era sotto il controllo diretto degli invasori nazisti, fu accusato dopo la guerra di collaborazionismo (in suo aiuto arrivò inaspettatamente Raymond Leblanc, un noto partigiano che voleva fondare il settimanale «Tintin» e testimoniò in suo favore). Remi (il nom de plume «Hergé» viene dalle due iniziali di nome e cognome invertite, «rg»), di cui nel 2006 è stato celebrato il centenario della nascita, venne assunto a Bruxelles come factotum nel quotidiano ultraconservatore cattolico «Le Vingtieme Siecle», diretto dal sacerdote Norbert Wallez: questi gli affidò il supplemento dedicato ai bambini e un bel giorno nacque il giornalista dal ciuffo biondo e calzoni alla zuava, accompagnato da un piccolo fox terrier bianco, «Milù». Tintin ebbe un immediato successo e, come ogni buon reporter, non viaggiava dove voleva ma dove lo mandava il direttore: Wallez ottenne così una prima avventura che denunciava le nefandezze del sistema sovietico («Tintin nel Paese dei soviet») e una seconda che tesseva le lodi del colonialismo belga («Tintin nel Congo», portato in tribunale due anni fa per dialoghi presuntamente razzisti); entrambe verranno poi ridisegnate dopo la Seconda Guerra Mondiale, un periodo oscuro anche per Hergé che si rifugiò nel quotidiano «Le Soir». Nel 1946 il personaggio verrà resuscitato fino ad arrivare a 24 avventure, l'ultima delle quali («Tintin e l'Arte Alfa») rimasta incompiuta per la morte dell'autore, stroncato da una leucemia nel 1983.
Se è pur vero che Hergé non fu tenero con l'Urss - né avrebbe potuto, visto l'editore - sarebbe più esatto dire che Hergé ne ebbe per tutti: dagli anglosassoni (altrettanto cattivi dei giapponesi nel «Drago Blu», ambientato nella Cina prebellica) alle repubbliche bananiere sudamericane, passando per la «Borduria» del baffuto dittatore Pledsky-Glatz (i cui mostacci staliniani appaiono persino sui radiatori delle macchine), nella quale gli ufficiali col monocolo risultano a dir la verità più prussiani che sovietici; e a spedire un razzo sulla Luna non sono né gli americani né i russi, ma la Repubblica della Sildavia, ente geografico mitteleuropeo-balcanico - già minacciato dai malvagi borduri.

Pochi i riferimenti all'Italia: un'Alfa Romeo - perfettamente resa dalla «ligne claire» di Hergé - guidata spericolatamente da un nostro compatriota e l'onnipresente Bianca Castafiore, soprano dalla voce prepotente e temibile aspirante alla mano del capitano Haddock, spalla di Tintin e altro indimenticabile personaggio della serie, insieme al professor Girasole e ai poliziotti Dupont&Dupond.

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