Le toghe strigliano il governo: processi lenti, subito le riforme

da Roma

«In nome del popolo italiano dichiaro aperto l’anno giudiziario 2007». Non è il primo presidente della Cassazione a pronunciare la frase di rito. Il posto lasciato da Nicola Marvulli è ancora vuoto, dopo il no del Csm al pretendente Nicola Carbone, che siede tra gli ospiti senza ermellino, ma in prima fila essendo il più alto in grado come presidente aggiunto. La partita non è chiusa, con i ricorsi in atto e Carbone ha rinunciato a fare la relazione alla cerimonia, affidandola a un «supplente», il presidente di sezione Gaetano Nicastro. Questi lo cita per elogiarne il lavoro nel settore civile e al suo arrivo al «Palazzaccio» anche il capo dello Stato, Giorgio Napolitano, gli stringe la mano.
Nicastro invoca da governo e Parlamento riforme «profonde» e «improcrastinabili», per salvare dal baratro una giustizia-lumaca che annaspa tra lentezze e disfunzioni. Se i reati si riducono dell'11,5 per cento, il 78,8 per cento rimane senza colpevoli. Le denunce sono sempre le stesse e l’alto magistrato arriva a chiedersi se la cerimonia abbia ancora un senso, «se rimane fine a se stessa».
Il potere rimane sordo? Alla cerimonia, anche stavolta, i vertici delle istituzioni sono tutti presenti: i presidenti di Senato e Camera Franco Marini e Fausto Bertinotti, il premier Romano Prodi, il ministro della Giustizia, Clemente Mastella.
Nicastro fa un riferimento al caso Welby e ai malati terminali, definendo «urgente» un chiarimento del legislatore dell’«ambiguo» concetto di accanimento terapeutico. Difende poi il diritto di critica dei magistrati sui provvedimenti legislativi (come la riforma dell'ordinamento giudiziario del governo Berlusconi), dicendo che «le polemiche non vanno interpretate quale indebita ingerenza». Condanna, infine, «il malcostume» della diffusione sui mass media delle intercettazioni telefoniche.
Prima di lui è il Procuratore generale a fornire le cifre del disastro della giustizia italiana: 3.612 decreti di condanna dello Stato italiano in sede europea per l'eccessiva durata dei processi. É questo, sottolinea, il problema «cruciale» della nostra giustizia e per affrontarlo servono leggi organiche non «interventi tampone».
Delli Priscoli sceglie di affrontare di petto una delle questioni più controverse, quella della separazione delle funzioni tra giudici e pm, introdotta dalla riforma Castelli e poi sospesa da Mastella. È nettamente contrario, perché «l'unicità di carriera è una soluzione più avanzata, non più arretrata, rispetto a quella adottata in altri Paesi, per rafforzare le garanzie di libertà dei cittadini». La separazione instaurerebbe «un modello di pm basato sulla ricerca esasperata dei risultati, fortemente esposto alle pressioni dell'opinione pubblica, che spingono in molti casi alla ricerca di un colpevole ad ogni costo». Per Delli Priscoli è un errore rendere difficile il passaggio da giudice a pm e viceversa, che invece «dovrebbe essere incoraggiato e facilitato». «Peggio ancora sarebbe la completa separazione delle carriere, oltretutto prodromica all'assoggettamento del pm al potere politico».
Le reazioni dalla Cdl non mancano. Dura è la critica del responsabile giustizia di Fi Giuseppe Gargani, che si sorprende dell’intervento fuori tema, visto che al Pg «è stato tolto l'onere della relazione generale». E Giulia Buongiorno di An precisa: «Invocare la separazione non significa attaccare la magistratura o essere diffidenti nei confronti dei giudici, ma solo pretendere una imparzialità che presuppone l'indipendenza».


Nel suo intervento alla cerimonia il presidente del Consiglio nazionale forense, Guido Alpa, avverte: «Un processo lungo è per sua natura ingiusto». E per l'Avvocato generale dello Stato, Oscar Fiumara, occorre «razionalizzare il sistema giudiziario, semplificarlo, renderlo più agile».

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