Tolleranza pericolosa

Londonistan cerca di divorare Londra di nuovo. Nulla è ancora chiaro sul fallito attentato di Londra. Dunque, i fatti possono smentirci, ma lo scopo evidente di colpire il più largo numero possibile di cittadini, il tipo di preparazione (con esplosivo, chiodi, gas, benzina... la stessa sete di sangue dell’Irak), il prossimo anniversario dell’attentato del 7 di luglio, tutto fa pensare che l’estremismo islamico aggredisca di nuovo la Gran Bretagna.
I colpevoli hanno lasciato dietro di sé molti indizi, Scotland Yard gli è addosso. Ma già possiamo vedere chiaro lo sfondo su cui la Mercedes si è riempita di tritolo, gas, chiodi: è quello della crescente minaccia del radicalismo islamico in Inghilterra, mentre un’acquiescenza mista di paura e di un malinteso senso dei diritti umani è diventata sempre più costitutiva dell’atteggiamento inglese. L’Inghilterra, come dice in un suo recente best seller sul tema Melanie Phillips, si è assoggettata a uno stato d’animo per cui, rinunciando alla propria cultura, si fa agnello sacrificale. Secondo le statistiche del 2006, fra il 40 e il 60 per cento dei musulmani vorrebbe che fosse stabilita la Sharia; un quarto ritiene che le bombe del 7 luglio (52 morti!) siano giustificate dalla guerra in Irak; metà pensa che l’attacco alle Twin Towers è stata opera di una cospirazione Israele-Usa; il 46 per cento pensa che la comunità ebraica «controlli coi massoni la polizia e i media»; il 37 per cento crede che «la comunità ebraica sia un bersaglio legittimo nella guerra per la giustizia in Medio Oriente». Queste opinioni non sono un vezzo antropologico e culturale: i servizi britannici si stanno occupando di 34 complotti terroristici accertati, mentre altri 70 casi sono attualmente investigati. Sono circa 1900 i terroristi sotto inchiesta per progetti di bombe.
L’espansione è dovuta al successo del 7 luglio 2005; Dhiren Barot, in prigione per attentati con uso di veleno e materiali radioattivi, ha dichiarato che l’uso del terrorismo per la fede è giustificato dal fatto che funziona. Le descrizioni dei terroristi come vittime, immigrati emarginati, si scontra col fatto che gli stessi autori del 7 luglio erano stati tutti a scuola o all’università; il terrorista britannico del Mike Place in Israele, era una persona integrata. Di fatto sono le seconde o terze generazioni tornate all’Islam che si fanatizzano in perfetto inglese: nell’agosto del 2006, dopo la guerra israelo-hezbollah, a Trafalgar Square li si poteva vedere mentre gridavano «Siamo tutti Hezbollah», mentre nel febbraio, durante le manifestazioni per le vignette su Maometto, innalzavano cartelloni con scritto «Europa pagherai, il tuo sterminio è iniziato» e «Europa è il cancro, l’Islam è la risposta». Tony Blair, nonostante il mondo politico sia terrorizzato di esser accusato di islamofobia, ha osato chiedere di integrarsi o di andarsene: ma la sua è stata una risposta episodica: la Sharia applicata in casa, la poligamia, i matrimoni prematuri (14 anni) e forzati sono ignorati, così come gli avvertimenti alla comunità musulmana delle indagini dell’intelligence (secondo la Phillips), e la nomina di noti radicali islamici come consulenti dello Stato. L’Inghilterra sceglie, specie l’intellighenzia liberal e la stampa, l’abbraccio per il vittimismo che fa da scudo all’estremismo. L’antisemitismo ne è un “byproduct”: il recente boicottaggio di Israele dei professori inglesi dell’Ucu (University College Union) mostra come gli islamisti abbiano saputo approfittare della cultura dei diritti umani per stravolgerla.
La “cultura delle vittime”, paradigmaticamente, ha lasciato sfuggire in Somalia vestita con l’inviolabile burqa una donna islamica che invece era l’assassino maschio di un poliziotto. Ma alla fine bisogna scegliere: o la generosa liberalità che proibisce di sospettare di un burqa, o i terroristi all’opera.

Se il partner multiculturale usa la nostra liberalità come veicolo del suo odio e vi scava un nascondiglio per la casamatta delle sue bombe, allora l’ospite che glielo lascia fare vellicandone la propaganda vittimista, è responsabile quanto lui.
Fiamma Nirenstein
www.fiammanirenstein.com

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