Tomba, Deborah, Girardelli tutte le facce di SuperRocca

Un campione unico che ne ricorda tanti: il guizzo finale della Bomba, la professionalità della Compagnoni, ma anche la modestia di Stenmark e i silenzi di Thoeni

Maria Rosa Quario

L’impresa che non sta riuscendo ai suoi avversari proviamo a compierla noi, che per gioco abbiamo deciso di «fare a pezzi» Giorgio Rocca e poi di paragonare alcuni aspetti del suo essere a quelli di altri grandi campioni di sci. Cominciamo dall’uomo, dal marito, dal papà Rocca, molto simile all’uomo, al marito e al papà Michael Von Gruenigen, lo svizzero ex re del gigante: mai una battuta fuori luogo, la moglie al seguito come un’ombra silenziosa e discreta, da sola agli inizi, con bambini piccoli in braccio o per mano in seguito. Baci casti solo su richiesta dei fotografi, assoluto desiderio di privacy.
Per il Rocca grande collaudatore si trova invece un facile paragone con Marc Girardelli, l’austro-lussemburghese detentore del record di coppe del mondo vinte, cinque. Sempre alla ricerca dello sci adatto ad ogni pista e ad ogni neve, con la capacità rara di capire le differenze e soprattutto di spiegarle ai tecnici che devono mettere a punto gli attrezzi. Di Girardelli, Rocca ricorda anche il fisico, massiccio ma non esageratamente imponente, con muscoli pronunciati ma non troppo gonfi, un bell’atleta insomma, naturale, non modello culturista.
La tecnica: Rocca non dà mai l’impressione di essere velocissimo, ha una posizione centrale e grande equilibrio, quindi incredibile stabilità. In questo ricorda il Lasse Kjus dei tempi d’oro, quello che sembrava sempre fermo e che invece faceva tempi strepitosi. In un tratto della pista però Rocca fa pensare ad Alberto Tomba, ed è nelle ultime porte degli slalom, quando ha la capacità di trovare le linee più redditizie e di buttarsi verso il traguardo con un balzo.
Passando al carattere e parlando di tenacia, Giorgio ci ricorda molto Luc Alphand, il discesista francese vincitore a 32 anni della coppa del mondo assoluta (e da pilota dell’ultima Dakar!), che proprio come Giorgio subì una lunga serie di infortuni prima di capire e far capire di essere un campione. Riprendersi da un infortunio quando si è già dimostrato il proprio valore è più facile che farlo da signori nessuno e in questo Rocca e Alphand sono stati grandi, arrivando alla vittoria molto tardi, il primo a 29 anni e mezzo, il secondo a 27 e mezzo.
A proposito di vittorie, e delle reazioni che suscitano, Rocca è sempre molto contenuto e in questo ci ricorda Ingemar Stenmark, che a vincere era talmente abituato da restare spesso impassibile. Giorgio ci ha finora regalato baci alla neve, alla telecamera, inchini e pugni chiusi, ma una volta ci piacerebbe davvero vederlo esplodere, senza controllo.
Chiamiamo ora in causa una donna, Deborah Compagnoni, di cui Rocca ricorda la grande capacità di instaurare rapporti amichevoli ma altamente professionali con il proprio staff, allenatori, skimen, manager eccetera. Il modo migliore per lavorare divertendosi, per motivare e motivarsi.
Ora Giorgio ci scuserà, ma alla voce interviste dobbiamo scomodare un paragone che potrà sembrare improprio, ma che meglio di ogni altro descrive la sensazione che prova chi gli pone domande tenendo un microfono in mano. La sua flemma e il risparmio di sorrisi ricordano molto Gustav Thoeni, che però al contrario di Giorgio aveva poca padronanza della lingua italiana.


Per chiudere, vorremmo paragonare Rocca a Kristian Ghedina, per la disponibilità, la simpatia e per la capacità di «non tirarsela» mai, davanti e dietro le telecamere, davanti e dietro i taccuini, al bar e sulle piste, al telefono e in conferenza stampa.
Giorgio Rocca: uno come tanti, ma unico, grande solo come Giorgio Rocca.

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