Tommy, dai Ris dubbi sul racconto degli Onofri

Andrea Acquarone

nostro inviato a Parma

È il terzo fine settimana trascorso senza vedere Tommy sorridente nella sua villetta di Casalbaroncolo, a sgranare gli occhi divertito di fronte a mamma o papà che gli spruzzano in bocca il «mommo». Lo chiamavano così, loro, per farlo ridere, il Tegretol, lo sciroppo che per lui significa la vita. Il diario di questo rapimento - che gli investigatori hanno sempre, e continuano a definire anomalo - rivela sempre più un giallo. Un rebus cominciato il 2 marzo. Tanto è trascorso da quando questo bimbo di poco più di un anno e mezzo, malato d'epilessia, sparì da casa all'ora di cena.
Ma adesso tra tanti dubbi, piste da seguire partendo dal nulla, incertezze e ripensamenti, di fronte alla vita passata al setaccio di una famiglia al di sopra di ogni sospetto, e poi polverizzata, ecco finalmente il primo, vero, spiraglio di luce. Arriva dalle analisi scientifiche dei Ris, che studiano tra microscopi, computer ultrasofisticati e «provette magiche» ciò che l'occhio non vede. Potrà non piacere ciò che dicono questi militari con le tute bianche, di certo addolora, ma perlomeno indica una via. Un punto di partenza: la versione della famiglia Onofri non collimerebbe con ciò che gli esperti dei carabinieri hanno rilevato dagli esami effettuati. Orme, impronte digitali, reperti biologici messi a confronto con le parole. Veri testimoni difficili da smontare. «Prove» che racconterebbero una storia diversa da quella resa dall'ex direttore delle poste di via Montebello. E forse anche da quella della moglie. Resta un dilemma: perché il loro primogenito, Sebastiano, un bimbo innocente di appena otto anni, l'ha sempre avvalorata. Ripetendo per filo e per segno il racconto dei genitori.
Eppure investigatori e magistrati sono ormai convinti. Non credono più a quella dinamica di sequestro che Paolo Onofri e la consorte Paola Pellinghelli, in ore e ore di interrogatori serrati, hanno sempre ripetuto in coro. All'unisono, senza mai spostare di un virgola la loro versione. A partire del nastro adesivo con cui erano legati e dal quale si sarebbero liberati strappandolo a morsi. Secondo i militari le cose non andarono proprio così. Eppoi qualcosa non torna anche nelle impronte lasciate dai rapitori, che secondo la ricostruzione fornita dalle vittime, indossavano guanti in pelle. Infine l'orma di un piede trovata dove non avrebbe dovuto esserci, almeno stando alle parole dei coniugi: in un certo punto dell'abitazione i malviventi, due, incappucciati (uno forse donna) non avrebbero dovuto passare. Ma si sa: era buio, la paura, una pistola e un coltello a minacciarti. Come non giustificare qualche comprensibile errore della memoria?
Intanto è tempo di week end ma i magistrati della Dda di Bologna, in testa la bionda e agguerrita procuratrice antimafia Lucia Musti, non demordono. Studiano le carte, le luci dei loro uffici non si spengono nemmeno quando fa buio. Ora più che mai, loro, i fari, li tengono accesi. Puntati sempre sul papà di Tommy. E sui suoi amici. Non solo i due artigiani che lavorarono alla ristrutturazione di Casalbaroncolo. C'è n'è un altro, proprio la persona che per prima parlò con Onofri, subito dopo il rapimento.

Secondo gli inquirenti, anche lui potrebbe essere stato ospite della «cantina dei vizi», quella di via Jacchia 31 dove la polizia ha sequestrato filmini e foto proibite di giovanissime. È già stato interrogato tre volte, potrebbe ritrovarsi presto nella lista degli indagati. Non per sequestro, ma per pedopornografia. Proprio come il papà di Tommaso che però continua a ripetere: «Non sono un mostro».

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