nostro inviato a Parma
In una domenica così, l'unica parola che ti viene in mente è «senza». Per la famiglia Onofri, il diciassettesimo giorno senza Tommy. Per lui, povero tesoro, il diciassettesimo risveglio senza quello che sarebbe diritto inalienabile di ogni bambino: il sorriso e il bacio della sua mamma. E per tutti noi, che questa bruttissima e incomprensibile storia la seguiamo dall'inizio e di cui vorremmo unicamente scrivere (o leggere) il più presto possibile la parola «fine» - preceduta dalla frase «È vivo, è libero» - si tratta soltanto di un altro articolo senza certezze. Ipotesi e supposizioni, quelle sì. Come piovesse. E sono le medesime, perdipiù, da troppi giorni. Brandelli di una vicenda che anche se messi insieme non riescono a fare ancora lo straccio di una certa e univoca verità. Come già in buona parte anticipato domenica dal Giornale, non resta altro che cercare di scoprire via via qualche nuovo tassello del mosaico messo insieme fino a ora dagli inquirenti. I quali - questo almeno è certo - si stanno concentrando sui riscontri oggettivi raccolti e analizzati dal Ris dei Carabinieri per attribuire o meno veridicità alla ricostruzione dei fatti fornita nelle loro deposizioni da papà, mamma e fratellino del bimbo scomparso. I risultati completi e definitivi del lavoro degli uomini del colonnello Garofano saranno resi noti in settimana, pare giovedì.
Nell'attesa, non resta che tendere l'orecchio. Così, circa il nastro adesivo usato la notte del 2 marzo scorso per immobilizzare i coniugi Onofri e il loro figlio maggiore Sebastiano, di 8 anni, un comune nastro marrone da imballaggio, risulterebbe che siano stati appena due i «giri» passati attorno ai polsi di Paolo Onofri. E nemmeno particolarmente stretti. Un laccio improvvisato che sarebbe stato molto facile da strappare, per un uomo della sua mole e della sua forza, anche avendo le mani dietro la schiena. E anomalo appare anche il modo in cui poco prima dell'irruzione nella casa di Casalbaroncolo era stata interrotta l'erogazione della corrente elettrica. Si ha infatti l'impressione che il commando sapesse perfettamente quale fosse, tra i tanti presenti nel quadro, l'interruttore giusto.
Ieri si è appreso che durante una delle numerose perquisizioni in corso è stata trovata anche una confezione di un farmaco analogo al Tegretol, lo sciroppo considerato salvavita per il piccolo Tommaso. La bottiglietta era in possesso di L.G.B., originario di Pantelleria e titolare della piccola impresa edile che aveva svolto i lavori di ristrutturazione della misteriosa cantina in via Jacchia, di proprietà di Paolo Onofri. Circa il farmaco, L.G.B. si è giustificato sostenendo che era stato acquistato per suo figlio, anch'esso malato di epilessia, proprio come Tommy. Fattosi intervistare (di spalle) dall'emittente TvParma, l'artigiano ha sostenuto che gli agenti erano alla ricerca di armi. «Ma io non ne ho», ha aggiunto l'uomo che ha anche detto di aver conosciuto Onofri qualche anno fa, quando insieme volevano iniziare a commercializzare prodotti dietetici porta a porta. E la cantina, stando alla sua versione, avrebbe dovuto avere la funzione di magazzino. In seguito Onofri lo aveva contattato nuovamente per i lavori di ristrutturazione della casa di Casalbaroncolo. «Mi ha sempre pagato - ha precisato l'artigiano -. Con me non aveva nessun debito».
Anche questo, appunto, sembra soltanto l'ennesimo brandello al vaglio degli inquirenti, anche perché la giornata di ieri lo zio di Tommy, Cesare Fontanesi, lha definita «senza novità». Il lavoro degli investigatori, già faticoso e complesso, viene appesantito anche dal quotidiano stillicidio delle decine e decine di segnalazioni che giungono via sms al numero del Comitato per la liberazione di Tommaso.
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