Tommy, il processo degli assenti Alessi preferisce restare in cella

In aula manca il principale imputato. E anche Parma ora vuole dimenticare la tragedia di un anno fa

nostro inviato a Parma
«Alessi Mario?». «Assente». Sì, mancava l’Orco, mancava Parma e forse manca un movente che convinca tutti. Quasi un processo delle assenze, quello apertosi ieri in Corte d’Assise nella città ducale per giudicare il muratore siciliano e la sua compagna Antonella Conserva, unici accusati per il sequestro e la morte di Tommaso Onofri, il bimbo di 17 mesi rapito e ucciso il 2 marzo 2006 a Casalbaroncolo, pugno di case spuntate nel nulla in mezzo a quella terra grassa. Così, sotto una cupola giallo ocra che fa tanto chiesa e tra colonne ornate da pretenziosi capitelli corinzi, non sono echeggiate grida di giustizia sommaria e non si è respirata passione. Perché Parma è stanca di brutte storie che non le appartengono. È stata, di conseguenza, soltanto noia; scritta con la faticosa prosa legale e scandita da interminabili sospensioni.
Alessi, l’Orco che ha confessato il sequestro, ma che respinge l’accusa di aver ucciso il bambino, è rimasto in cella a Viterbo. «Non perché abbia paura - assicura il suo avvocato, Laura Ferraboschi -, ma perché sono stata io a consigliarlo. Lui verrà quando dovrà testimoniare. E se si dichiara soddisfatto per aver scelto il dibattimento anziché il rito abbreviato, mi manda a dire di essere sconvolto dall’assoluzione di Pasquale Barbera», il capomastro accusato di concorso nel sequestro ma mandato a casa libero dal gip di Bologna nello stesso rito con cui è stato condannato a 20 anni Salvatore Raimondi.
Assente quindi il protagonista principale, lo sparuto pubblico (una quarantina di persone) si è dovuto accontentare dell’arrivo in aula della Conserva, che dopo un fugace ingresso nella gabbia in pantaloni neri e maglia a disegni animalier, ha seguito le fasi processuali seduta tra i suoi legali. Brutto giorno, per lei, raggiunta in aula da una decisione della Cassazione: niente libertà, attenda in carcere la fine del processo.
A far rumore, ieri, c’erano quindi soltanto i media. Tanto rumore da scatenare l’ira del magistrato Silverio Piro, che con la collega Lucia Musti rappresenta la pubblica accusa. «Un po’ di dignità, non siamo vip, ma magistrati che devono fare un processo», ha sbottato, riparandosi da una gragnuola di flash. «Questa non è una piazza», gli ha fatto pronta eco la presidente della Corte, Eleonora Fiengo, prima di iniziare i lavori con l’appello e la ricostruzione dei fatti di quel tragico marzo 2006. Un calvario rivissuto, stazione dopo stazione, anche dai genitori di Tommaso - Paolo Onofri e Paola Pellinghelli - che hanno però annunciato l’intenzione di essere presenti in futuro soltanto quando saranno chiamati a deporre e il giorno della sentenza.
Il cuore processuale della prima giornata di Assise è consistito nel braccio di ferro tra pubblica accusa e parti civili da un lato e collegi di difesa dall’altro.

Con questi ultimi impegnati a sostenere le proprie richieste di testimoni, perizie e prove relative alla figura del padre di Tommy. Inutilmente: la corte le ha respinte tutte, con piena soddisfazione dei pm, più che mai convinti della solidità del proprio teorema: l’unico movente fu l’estorsione. Sarà anche così, ma non tutti ci credono.

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