Toni è una bandiera che sventola comunque. Con ogni maglia e in ogni città. Ruota la mano attorno all’orecchio: hai sentito che cosa ho fatto? L’esultanza dopo il gol è il segno distintivo che non cambia a seconda della squadra. L’ha inventata a Palermo e se l’è trascinata ovunque: Firenze, Monaco di Baviera, Roma, Genova, adesso Torino. Perché Toni ha sempre segnato e segnerà ancora. È diventato un interinale del gol: sei mesi qui e sei mesi lì, neanche il tempo di affezionarsi a se stesso. Però a lui piace, forse perché a quasi 34 anni ha senso prendersi tutte le occasioni. Non potendo essere bandiera di nessuno, meglio esserlo per poco di tutti. Non farà molto chic, ma per il momento funziona.
Finito il tempo di quando il suo addio lasciava nello sconforto una città. Quella stagione della vita è rimasta confinata all’esperienza di Palermo. Due anni e tanti di quei gol da creare la sensazione del vuoto già all’annuncio del suo addio per la Fiorentina. Furono lacrime e sangue, furono polemiche e rancori. La maglia numero 9 del Palermo sulle bancarelle della città si vendeva con il numero sbarrato e il bollino «venduto». A seconda della latitudine culturale e sociale cittadina, i palermitani affrontarono l’addio con un diverso grado di insofferenza. Qualcuno tirò fuori pensieri che volavano in alto, con tanto di citazione di Milan Kundera: «L’amore vero si conclude sempre con un tradimento». La gran parte della città, invece, la risolse più terra terra: «Cu lu vinnri e lu cumprari, nun c’è amici né cumpari».
Quel tempo di nostalgie da addio è finito allora. Da quel momento è stato un lungo viaggiare. Negli ultimi tempi ogni volta che arriva in un posto sembra sempre che non sia quello della squadra precedente, poi prende il giro e ricomincia a segnare. Questo gli chiedono: i gol, più possibile, nel minor tempo possibile.
Gli chiedono di essere quello che è: il centravanti che non deve essere necessariamente bello, ma semplicemente utile. Quello che gli disse Guido Attardi all’epoca in cui giocava nella Lodigiani (era il 1999): «Tu devi metterla dentro». Quell’anno fece 15 gol, cosa mai vista fino ad allora. Lo prese il Treviso in B e poi il Vicenza per portarlo in serie A. Giocatore lo era diventato a Modena, a due passi da casa, da Stella di Serramazzoni che s’aggrappa all’Appennino emiliano e guarda Maranello. Lì il campo di calcio si chiama Stadio della Bastiglia, che non c’entra con la Francia, ma con un monumento che apre la via verso il pallone. Luca è cresciuto lì e l’idea era quella di diventare un centrocampista: prima di adorare Van Basten, aveva una predilezione per Michel Platini. Non significa che fosse juventino, anche se adesso dice di sì, anche se ora dice che non ha mai avuto altro sogno nella vita che quello di giocare nella Juventus. Significa, invece, che lui amasse quel modo di giocare: voleva alzare la testa e fare l’artista.
Centravanti lo è diventato per scelta dell’allenatore degli esordienti che a dodici anni lo spostò più avanti. Cominciava a essere una pertica e serviva in mezzo all’area avversaria: gli mettevano la palla sulla testa e lui decideva se tirare o appoggiare su qualche compagno. Gli altri lo guardavano e si divertivano, gli dicevano che lui poteva stare tranquillo: avrebbe avuto la vita facile, perché quando c’era nebbia gli altri restavano ciechi, lui superava con la testa il banco e guardava tutto. Allora andò al Modena, a 18 anni: sette presenze, due gol in C1. L’anno dopo, 25 presenze, cinque gol. Lo mandarono via, lo prese l’Empoli. C’era Spalletti in panchina e il campionato era di serie B: tre partite, un gol. Il peggior anno della sua vita Luca Toni l’ha vissuto a una manciata di chilometri da dove sta vivendo il più bello: «In quel periodo facevo il militare a Napoli, stavo a Empoli solo il giovedì e poi la domenica». E nel momento peggiore, Marta. La ragazza che ha ballato sui tavoli dello spot Aperol, Luca Toni la incontrò in un locale di Firenze nel 1997. Da allora stanno insieme e tutti ripetono l’aneddoto delle prime uscite. Quello in cui lei pensava che lui fosse uno «sfigato». Oggi quella parola, non la dice più, anzi ora sostiene di non averla mai detta. La vita e il pallone gli hanno regalato una fortuna che forse non s’aspettava.
È andato ovunque con la fama di quello che risolve i problemi. Non sempre è capitato, però la nomea non è cambiata. È l’usato sicuro di ogni stagione.
Fa un po’ tristezza se pensi che il mercato lo fa uno di 34 anni. Fa un po’ tenerezza perché non può andare in ogni squadra a dire che s’è realizzato il suo più grande desiderio. Però se segna nessuno si ricorda. Se fa quello che gli chiedono di fare andrà tutto bene. Sempre.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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