Tonino e fratelli: le bizzarrie delle (ex) toghe

Agli errori giudiziari abbiamo fatto il callo. Prendiamo Calogero Mannino, l’ex ministro dc accusato di mafiosità e assolto dopo 17 anni, venti chili di meno e 23 mesi di arresti. Vita e carriera rovinate. Siamo anche vaccinati alle sentenze bizzarre tipo quella che ha imposto al padre di pagare gli studi alla figlia comodona che, a 32 anni, non si è ancora laureata. Bellina anche la faccenda di Alessandra Mussolini. Offesa perché in un film romeno le si dava della troia, ne aveva chiesto il ritiro. Ma un genio in toga l’ha negato in nome della libertà d’espressione. Poi, in base all’uzzolo o chissà che altro, ha condannato Mussolini alle spese.
Che tipi sono questi magistrati? Dio ci guardi dal commentarli nell’esercizio delle funzioni. Per un nonnulla ti querelano senza rischiare un baffo perché tanto i colleghi gli danno ragione a prescindere. Aggiriamo l’ostacolo e vediamo allora come si comportano quando, spogliandosi della toga o avendo smesso di indossarla, si mescolano tra noi. A giudicare da alcuni casi sott’occhio sono uomini singolari, prepotenti e notevolmente infantili. Resta il dubbio se siano state queste caratteristiche a fargli abbracciare la carriera o le abbiano acquisite percorrendola. In ogni caso sono indigesti, esattamente come le loro sentenze, anche nella vita di tutti i giorni.
Totò Di Pietro, per esempio, è un ex magistrato. Entrato in politica, si è subito segnalato per gli eccessi. Ossessionato dal Cav, batte continuamente lo stesso tasto: la democrazia periclita, l’Italia è il Sudamerica, l’Ossezia, il Turkmenistan e altre entità a caso di cui apprende l’esistenza sfogliando l’atlante. Si agita, molesto più alla sinistra che alla destra, costringendo il misero Bersani a inseguirlo sulla strada dell’insulto e dell’inconcludenza. Quando strabuzza gli occhi e muove a vuoto la bocca per l’eccitazione della malignità che sta per pronunciare richiama, ma impallidendone il ricordo, il duce che minaccia di spezzare le reni alla Grecia.
L’ex pm è il politico più invasato della storia repubblicana. Il primo che a memoria d’uomo abbia affittato pagine di giornali esteri per denigrare il suo Paese. È accaduto nel luglio dell’anno scorso con inserzioni a pagamento sull’Herald Tribune e il Guardian. Sul primo, gridando che «la democrazia è in pericolo», sull’altro per denunciare che «la libertà d’informazione è calpestata». Lo ha fatto con denaro pubblico e nel bel mezzo del G8 dell’Aquila sull’esempio dell’avviso di garanzia recapitato al Cav nel 1994 dal suo ex capo del pool di Milano, F. S. Borrelli, durante la riunione internazionale di Napoli. Curiosa mentalità questa dei magistrati - in attività o ex - che, da custodi della legalità, si trasformano in diffamatori internazionali delle istituzioni per odio politico. Resta una consolazione: nel ventre del Palazzo, che tutto digerisce, Di Pietro è meno dannoso di quanto sarebbe se continuasse a bazzicare i tribunali. La sua vera personalità, che la politica ha messo a nudo, fa però capire dei pericoli corsi dalla giustizia affidata a gente come lui. Speriamo se ne tenga lontano anche da avvocato dopo che mesi fa il Consiglio dell’Ordine lo ha sospeso per avere tradito la fiducia di un cliente.
Copia carbone del sullodato è Luigi De Magistris. È anche lui un ex pm che ha trovato rifugio tra le schiere dipietresche. Ha lasciato la toga a 43 anni, come Totò l’aveva fatto a 44 e per ragioni analoghe. Di Pietro aveva messo tanta di quella legna sul fuoco, sbattendo in galera questo e quello, che rischiava di bruciarsi. De Magistris ha tagliato la corda dopo avere fatto un buco nell’acqua con le inchieste. Cacciato da Catanzaro dov’era di stanza e inviperito, ha cercato, ancora magistrato, vendetta. Così, ha armato un grandioso casino aizzando i pm di Salerno contro quelli di Catanzaro. Le due procure si sono avventate l’una contro l’altra in nome di De Magistris. Salerno, che stava dalla sua parte, ha indagato l’altra, colpevole a suo dire di avere ostacolato il defenestrato in un’indagine. La cosiddetta Why not, che già nel nome inglese fa capire che fricchettone sia il Nostro. Le due procure si sono azzannate col risultato che sono intervenuti Csm e Guardasigilli. Conclusione: l’amico di De Magistris, il procuratore capo di Salerno, Luigi Apicella, è stato sospeso dall’incarico e dallo stipendio. Ditemi voi se uno che scatena un simile putiferio ha o no un barlume di equilibrio.
Da politico, De Magistris sta dimostrando un’identica dissennatezza. Per sistemarsi, si è sistemato bene. È da qualche mese un superstipendiato parlamentare Ue e ha un vizio: il blog. Su questo, il 2 gennaio, afflitto dai postumi del cenone, ha ironizzato sul Lodo Alfano che doveva sottrarre il Cav dai processi e ne ha proposto uno suo: «Garantiamo a Berlusconi la possibilità di lasciare l’Italia senza conseguenze... per tornare a essere una nazione civile». In altre parole, l’esilio. Il Cav, ancora incerottato dopo il lancio del Duomo, è stato zitto ma i suoi si sono scatenati. Allora, quel bello spirito di De Magistratis, ha fatto uno snobistico passo indietro dicendo: «Sarà che da un po’ frequento l’Europa ma questo Paese sta perdendo il senso dell’umorismo. Il mio era un pezzo scritto sul blog e va letto per quello che è». Cioè, una fesseria. Come se il blog fosse un porto franco in cui un rappresentante del popolo, per di più ex pm, possa dare sfogo alla bile post prandiale dei bagordi capodanneschi. È anche questo un buon esempio del tipo umano che la magistratura sforna inquinando la politica.
Un terzo scampolo del genere è Giancarlo Caselli, che indossa ancora la toga ma fa diverse incursioni tra noi comuni mortali. A lui non va giù che Andreotti sia stato assolto dall’accusa di mafiosità che gli aveva cucita addosso quando era pm a Palermo. Sono anni che non perde convegno o apparizione tv per dire che la sentenza che lo assolve in realtà lo condanna. Insomma, non ci sta e ripete con la caparbietà, del fanciullo o del matusa, fate voi, che lui ci aveva visto giusto: il Divo Giulio è mafioso checché ne dica la sentenza.

Ora ha l’occasione di variare tema con un altro processo che gli è andato buca: quello di Mannino che ha sbattuto in galera e crocifisso per anni. Pare già di sentirlo: ahimè l’hanno assolto ma a pagina 33 della motivazione c’è un inciso che la dice lunga... andate a pagina 33... avevo ragione io... pagina 33.
Uomini davvero singolari questi magistrati.

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