Il tonno rosso? C’è, ma non ordinatelo Ora il piatto forte è il senso di colpa

Colazione da Nobu, con senso di colpa assicurato. Non certo per aver trasgredito alla dieta eccedendo con le calorie. Anche perché i piatti dell’esclusivo sushi restaurant sono quasi tutti a base di pesce crudo e quindi particolarmente leggeri. I problemi di coscienza potrebbero nascere per chi è sensibile alla causa ecologista. Il motivo? Un piccolo asterisco accanto alle ricette fatte con il tonno dalla pinna blu (o tonno rosso) che rimanda a una nota: «Il tonno dalla pinna blu è una specie a rischio di estinzione, per favore pensate a un’alternativa».
Il paradosso è servito. Nobu consiglia ai propri clienti di non ordinare uno dei suoi piatti. In realtà la curiosa frase, scrive l’Independent, compare solo sui menu dei due ristoranti londinesi, in Berkeley Street e Old Park Lane, della catena. Che ha 24 sedi in tutto il mondo, da Honolulu a Hong Kong, una anche a Milano, e vanta tra i clienti affezionati Kate Moss e Brad Pitt. L’avviso è il compromesso raggiunto dai proprietari del famoso ristorante dopo un braccio di ferro durato cinque anni con le associazioni ambientaliste, Greenpeace in testa. La campagna sul pericolo di estinzione del tonno è stata talmente efficace che molti locali in Gran Bretagna lo hanno eliminato dal menu. Nobu si è rifiutato, forse perché il pregiato pesce (a 32 sterline la porzione) è fra i tre più richiesti, e ha deciso di scaricare sui clienti la responsabilità di decidere davanti a un piccolo dilemma: non ordinare il tonno raro oppure tornare a casa dopo cena con il pensiero di aver danneggiato l’ecosistema. «Non è un po’ come mettere sul menu un piatto a base di carne di panda?», si chiede il blog di cucina del Guardian.
Chissà se il singolare appello toccherà la coscienza ecologista dell’elitaria clientela di Nobu. Intanto negli Stati Uniti, per evitare i sensi di colpa, i consumatori responsabili sono andati oltre. I cibi biologici sono superati, ora è boom delle erbacce. Secondo il Wall Street Journal soffioni, germogli di felce, ortiche e ogni tipo di erbe selvatiche spopolano sulle tavole dei ricchi, tanto che il mercato di questi prodotti spontanei della terra è in forte aumento. Sugli scaffali dei supermercati e sulle bancarelle dei mercatini pomodori e insalata lasciano il posto a fili di fieno e asparagi selvatici. Non è solo uno scrupolo ambientalista, ma una tendenza dilagante. Tra i benestanti di Manhattan, scrive Vanity Fair, si è diffusa l’abitudine di andare di persona nelle tenute di campagna intorno alla metropoli per raccogliere le erbe. «Dopo aver passato il fine settimana in una vasta proprietà alle porte di New York - racconta Jamie Johnson, erede della Johnson and Johnson e autore di una rubrica sul jet set - mi sono accorto che per i buongustai più danarosi la cucina organica ha ceduto il posto alla più primitiva strategia della raccolta».
Le cipolle selvatiche, le spugnole e il crescione sono tornati nelle ricette dei grandi chef. E chi non possiede qualche ettaro di bosco va a comprare le erbe al mercato. «Le erbacce sono diventate di moda», conferma Beth Eccles, proprietaria della Green Acres Farm in Indiana, che cinque anni fa ha cominciato a vendere ortiche e nell’ultimo anno ha registrato un aumento delle richieste del venti per cento.

Sia un capriccio snob o una nuova sensibilità per l’ambiente, gli agricoltori penalizzati dalla crisi ringraziano. A Washington per esempio il dente di leone, il «soffione» tanto amato dai bambini, si vende a nove dollari a mazzetto e ha un giro d’affari di due milioni di dollari.

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