È solo un attimo. Fuggente e simbolico per il mondo libero. Inesistente per la Cina. Ad Atene, lunedì mattina, la ritualità è al culmine. Gli specchi solari infiammano il braciere beffando le nubi scese ad ingrigire Olimpia. L'attrice Maria Nafpliotou, nei panni d'antica sacerdotessa, accende la torcia, il presidente del Comitato olimpico Jacques Rogge spegne ogni fantasia sibilando il suo «no» al boicottaggio. «Nessun grande leader lo vuole - dichiara - rispetto l'opinione delle organizzazioni umanitarie, ma non sono rappresentative». Tutt'attorno le forze di sicurezza stringono d'assedio la cerimonia. La parola d'ordine per i greci, checchè ne pensino sostenitori dei diritti umani e amici del Tibet, è impedire imprevisti, bloccare le contestazioni. Un'altra piallata ad ogni entusiasmo arriva da Liu Qi, il presidente del comitato organizzatore di Pechino 2008 arrivato a spennellare la cerimonia con quattro righe di mandarino in stile «tutto va bene madama la marchesa».
A far «divampare» il grigiore ci pensano Robert Menard e i suoi bravi. Menard, fondatore e padre padrone di Reporter sans frontier, è appena arrivato dalla Pasqua di Parigi dove Sarkozy gli ha appuntato la Legion d'onore. Atene è, invece, pronta a premiarlo con un po' di galera. Non appena Liu Qi apre bocca Menard e un altro agitano la tribuna d'onore schiamazzando e sbandierando. Il servizio d'ordine si distrae e allora scendono in campo Jean-François Juilliard e Vincent Brossel. Il primo agita una bandiera nera con cinque anelli olimpici a forma di manette e occupa per un attimo l'inquadratura alle spalle di Liu Qi. L'altro punta al burocrate tentando di strappargli il microfono. Il tutto, nel fugace mondo mediatico non dura più di un secondo e non scalfisce la granitica imperturbabilità di Liu Qi.
Di quel fugace secondo conta più la manipolazione che la realtà. La televisione greca, ignorando qualsiasi regola giornalistica, cambia inquadratura. La televisione cinese s'è premunita con una leggera differita ed ha tutto il tempo di tagliare le immagini sostituendole con vetuste riprese d'archivio. In quel rarefatto nulla un paio di nerboruti gorilla hanno già trascinato via i due contestatori e fatto arrestare Menard. Ancor più inesistente per la telecronaca ufficiale è il tentativo di bloccare la corsa del greco Alexandros Nikolaidis, primo portatore della fiaccola nella staffetta olimpica partita verso Pechino. Per capirci qualcosa, insomma, meglio leggere il sito di Reporter sans frontieres che ricorda i cento giornalisti prigionieri delle carceri cinesi e chiede di «non consegnare al governo cinese un simbolo di pace come la fiamma olimpica senza denunciare la situazione dei diritti umani». Per il presidente del comitato olimpico Jacques Rogge, sostenitore di trattative silenziose con Pechino quelle dimostrazioni restano però una cosa «triste». La tedofora thailandese Narisa Chakrabongse evidentemente non concorda e annuncia la sua rinuncia per protesta contro la repressione in Tibet. «Voglio mandare un messaggio forte alla Cina - spiega - le sue azioni non possono essere accettate dalla comunità internazionale, la Cina riveda subito la politica in Tibet».
Il peggio, in questo viaggio di 137mila chilometri e 130 giorni garantito da 4mila tedofori, arriverà però a metà giugno.
Allora, dopo aver scalato l'Everest, la torcia sprofonderà per tre giorni nella prigione a cielo aperto del Tibet sfidando le proteste internazionali. Sarà lo sprint finale e ci dirà se, nell'immaginario collettivo, i bracieri olimpici illumineranno cinque lugubri manette, come suggerisce Reporter sans frontieres, o gli anelli simbolo eterno dello sport.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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