Torna «Copenaghen» con Umberto Orsini e Massimo Popolizio

Nel 1927 il fisico tedesco Werner Heisenberg dimostrò che tutte le affermazioni relative al movimento di una particella sono governate dal principio di indeterminazione: più accuratamente se ne conosce la posizione, meno accuratamente se ne conosce la velocità, e viceversa. Nel 1998 il drammaturgo inglese Michael Frayn prese le mosse da questo rivoluzionario assunto della fisica e - estendendone gli effetti alla Storia, alle dinamiche relazionali tra esseri umani, all’ambiguità della comunicazione e del linguaggio - ne fece il perno centrale del suo Copenaghen, testo pluripremiato che torna da questa sera all’Eliseo nella storica edizione di dieci anni fa con Umberto Orsini, Giuliana Lojodice e Massimo Popolizio meravigliosi interpreti (a dirigerli c’è sempre l’arguzia e l’equilibrio di Mauro Avogadro). Lavoro da non mancare per una serie di validi motivi. Si tratta, innanzitutto, di un raffinato esempio di innesto tra teatro e scienza che, con in sottofondo il grande problema etico della responsabilità dello scienziato di fronte al progresso e al potere, sollecita l’intelligenza del pubblico in modo semplice e chiaro.Frayn immagina una rievocazione del misterioso incontro che si tenne nel ’41 in Danimarca (occupata dai nazisti) tra lo stesso Heisenberg e il suo maestro/nemico Neils Bohr. Unico testimone della serata: Margrethe, moglie del fisico danese.

Cosa si dissero i due scienziati? Cosa decisero riguardo i programmi nucleari tedesco e americano? Come quella conversazione indirizzò la ricerca sulla bomba atomica e dunque le sorti della guerra? Non ci è dato sapere la verità ma solo ipotizzare alcune probabili soluzioni. Perché «gli avvenimenti che si sono prodotti non sono che una delle possibilità, e nemmeno la più rivelante, tra quelle che avrebbero potuto prodursi in atto». Fino al 23 maggio.

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