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Torna l’incubo dello tsunami Rase al suolo le isole Samoa

EPICENTRO La scossa si è verificata a circa 35 chilometri sotto la crosta terrestre

Torna l’incubo dello tsunami Rase al suolo le isole Samoa

Il primo segnale è stato un tonfo lontano, profondo, caldo e arrivava dal mare. È da lì che tutto è cominciato. Le acque hanno tremato, la terra dietro e poi quell’onda gigante che arrivava enorme da laggiù, dove l’azzurro e il blu sono solo una linea sottile. L’isola a quel punto era solo un bersaglio. I villaggi delle Samoa sono stati spazzati via. Ancora una volta si è sentita la voce dello tsunami. Un maremoto-terremoto di magnitudo 8,3 ha cancellato alberi e case, trascinato via le auto e i passeggeri, la gente e tutto il resto. A chi è rimasto non resta che contare i morti. C’è chi dice quaranta, chi molti di più e il conto sale con le ore che passano. Quando la natura si fa sentire il dopo, il subito dopo, è una triste questione di paura, morte e ragioneria.
Il villaggio Sau Sau Beach non esiste più, raso al suolo. Uno dei superstiti, rifugiato su una collina, ha la forza di raccontare quello che resta a una radio pubblica: «Non c’è un solo edificio rimasto in piedi. Ci siamo tutti arrampicati sulla collina e uno di noi ha una gamba rotta. Qui ci sarà molta gente che avrà bisogno di soccorsi».
L’onda anomala e il terremoto hanno mandato fuori uso il sistema elettrico e telefonico. A Pago Pago, capoluogo della Samoa americana (un’isola che fa parte dell’arcipelago ma è distinta dallo Stato di Samoa ed è territorio degli Stati Uniti) un’onda di circa un metro e mezzo ha scavalcato la costa per oltre 100 metri, travolgendo automobili nel riflusso. Studenti sono stati visti saccheggiare il negozio di un distributore di benzina. A Fagatogo, l’acqua ha inondato parte della strada principale, provocando smottamenti e cadute di massi. A Samoa, secondo i testimoni, il terremoto è stato «abbastanza forte: è stato lungo ed è durato almeno due minuti», ha detto un residente alla radio pubblica. Il Pacific Tsunami Warning Center (Ptwc) a Honolulu, nelle Hawaii, ha aggiornato l’allarme tsunami per molte isole del Pacifico: le isole Cook, Tonga, Fiji, la Nuova Zelanda, Polinesia francese e Papua Nuova Guinea. Il centro ha invece definito come da monitorare, anche se non immediatamente a rischio, anche le coste dell’Australia e dell’Indonesia. Secondo il Ptwc, l’onda «potrebbe essere distruttiva sulle coste vicino all’epicentro e costituire una minaccia per coste più distanti». L’epicentro sarebbe stato a 35 km di profondità sotto il fondale oceanico, quasi equidistante dalla Samoa americana (190 km) e Samoa (200 km).
Si teme il peggio. La parte più colpita è il Sud, qui le onde hanno sfiorato gli otto metri. Il terrore è che il muro di acqua si allarghi, sconquassando il Pacifico. È quello che giornali, tv e radio ripetono per lunghe, tesissime, ore. Poi le notizie si fanno più confortanti. L’allarme alle Hawaii e alle altre isole viene ritirato. Indonesia e Australia sono fuori pericolo. È il primo segnale di normalizzazione. Resta il mare che borbotta e parla e fa paura. Lo sciame sismico non si ferma, ma le onde sono sempre più piccole.
La memoria torna indietro, a quel 26 dicembre 2004 quando lo tsunami si presentò sulle coste dell’Oceano indiano e uccise oltre 200mila persone. Allora fu Sumatra e durò circa dieci minuti con magnitudo 9.0. Fu la catastrofe per Indonesia, Sri Lanka, India, Thailandia, Somalia, Maldive, Malesia, Myanmar, Tanzania, Seychelles, Bangladesh, Sud Africa, Kenya, Yemen. L’onda del porta, come la chiamano i giapponesi, toccò tutto ciò che era possibile toccare.
Questa volta è toccato alle Samoa. E ora resta il deserto. L’acqua che copre tutto. La devastazione. Il mare che entra dove c’era vita, normalità, l’andare avanti quotidiano delle città e dei villaggi. Il mare che si prende pezzi di quello che un tempo era l’habitat dell’uomo e lo rimescola, lo cancella, lo digerisce, come un mostro che non ha pietà per nessuno. E ai vivi, come ogni volta, non resta che raccontare, ricordare o cercare di dimenticare. È sempre così, sempre la stessa storia.

Cambiano solo i nomi di chi non c’è più.

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