Torna la violenza a Bangkok, ferito il capo ribelle

Bangkok Situazione caotica nella capitale della Thailandia, dove nuovi pesanti scontri hanno visto contrapposti a partire dalla notte tra mercoledì e ieri manifestanti antigovernativi (le cosiddette «camicie rosse») e forze dell’ordine. Un dimostrante è stato ucciso e tra i circa venti feriti ricoverati negli ospedali di Bangkok c’è l’ex maggiore dell’esercito Khattiya Sawasdipol, uno dei leader più radicali delle camicie rosse thailandesi. Il ferimento è avvenuto nell’accampamento dei manifestanti antigovernativi a Bangkok proprio mentre l’ex ufficiale stava dando un’intervista all’inviato del New York Times. Negli stessi momenti, un gruppo di manifestanti si stava dirigendo in una strada che le forze di sicurezza hanno chiuso come parte del massiccio giro di vite sull’accampamento nel distretto commerciale che le camicie rosse, sostenitrici dell’ex premier Thaksin Shinawatra, hanno occupato due mesi fa.
Il leader antigovernativo, soprannominato Seh Daeng (comandante rosso), è stato colpito alla testa da colpi di arma da fuoco e portato in ospedale in gravi condizioni. Precedentemente nella zona si erano udite un’esplosione e raffiche di armi automatiche.
Seh Daeng, che ha 58 anni, è un personaggio molto conosciuto in Thailandia e le camicie rosse lo considerano il loro eroe. È stato sospeso dall’esercito nel 2008 dopo aver criticato apertamente la gerarchia. Nonostante la punizione, il generale continua a circolare in divisa mimetica e un cappello da cui pende una fila di spolette di bombe a mano. Ancora recentemente, ricordando con indignazione in un’intervista la sua sospensione, Seh Daeng si paragonava a William Wallace, il medievale patriota ed eroe nazionale scozzese tradito dalla nobiltà nella sua lotta per l’indipendenza, di cui narra il film “Braveheart”. «Avete visto la pellicola? Mel Gibson è come me», ha affermato il generale, riferendosi al regista e protagonista del film.
Nel gennaio scorso la polizia ha aperto un’inchiesta su Khattiya Sawasdipol dopo un attentato contro il quartier generale dell’esercito e la scoperta nella sua abitazione di granate, di una pistola e munizioni. Ma il comandante rosso ha continuato per la sua strada. Di giorno aggirandosi fra le migliaia di oppositori accampati nei pressi del quartiere degli affari di Bangkok, stringendo mani e mettendosi in posa per le foto. Quando si fa sera, pugnale alla cintura, ispezionando le difese della “cittadella”, protetta da barricate di bambù, pneumatici inzuppati di kerosene e filo spinato.
Il crescere della violenza nel cuore della capitale thailandese ha spinto Washington e Londra a chiudere le proprie ambasciate a Bangkok, che si trovano in un’area non molto distante dai luoghi dove divampano gli scontri. Gli Stati Uniti, ha detto il portavoce del Dipartimento di Stato, Philip Crowley, «sono molto preoccupati per le violenze tra il governo thailandese e i manifestanti. Seguiamo gli sviluppi della situazione con molta attenzione».
A conferma del fatto che la situazione rischia di degenerare, il governo thailandese ha reso nota l’estensione ad altre quindici province dello stato di emergenza che è stato già dichiarato nella capitale Bangkok e nelle aree circostanti.

Questo conferisce poteri speciali al Cres, la task force militare che ha il compito di gestire la risposta alla protesta delle «camicie rosse» antigovernative, il cui obiettivo è la convocazione di nuove elezioni alle quali sia consentito di partecipare al loro leader politico Thaksin.

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