Tosi perde e non va in piazza con i suoi

La presenza (telefonica) di Silvio Berlusconi ha fatto passare in secondo piano un’assenza significativa ieri mattina al comizio pidiellino di piazza Bra: quella del sindaco leghista Flavio Tosi, la cui presenza al lancio della campagna elettorale per le regionali era data per certa. Al suo posto, tra i podisti intirizziti della «Christmas run» e i visitatori della mostra dei presepi, c’era Francesca Martini, sottosegretario veronese. Così a solidarizzare con Silvio Berlusconi c’erano tre sottosegretari (Brancher alle Riforme, Giorgetti all’Economia, Martini alla Sanità), ma non il sindaco in corsa fino a poche ore prima per la candidatura a governatore.
Tosi non ha preso molto bene l’investitura di Luca Zaia, e l’assenza di ieri potrebbe esserne una conferma. La prima poltrona della regione Veneto non rientrava nei suoi programmi: è diventato primo cittadino scaligero nella primavera 2007 con percentuali schiaccianti, non ipotizzava di mollare dopo meno di due anni. È stata la Lega Nord a far circolare il suo nome quando Umberto Bossi ha chiesto a Berlusconi il posto di Giancarlo Galan.
I compagni di partito non gli hanno fatto un grande favore. Perché Tosi, dopo le incertezze iniziali, ha creduto di potercela fare. Con Zaia la competizione è stata leale anche se condotta dietro le quinte. Aveva buone carte: esperienza di amministratore, capacità comunicativa, sangue freddo. Contava sul fatto che Bossi non avrebbe rinunciato al ministero dell’Agricoltura, e avrebbe potuto evitare questo rischio lasciando Zaia a Roma e trasferendo Tosi a Venezia. In più la designazione di Zaia avrebbe sbilanciato su Treviso gli equilibri del Carroccio veneto.
Alla fine il Senatùr ha puntato sul ministro e non sul sindaco dopo aver avuto garanzie da Berlusconi che il Pdl sosterrà i candidati leghisti in Veneto e Piemonte senza tirarsi indietro. Tosi ci è rimasto male ma ha sfoderato un’altra delle sue doti, quella di grande incassatore. Sabato mattina è andato da Bossi e si è fatto spiegare dalla sua viva voce le ragioni della scelta. Poi, da presidente del consiglio nazionale della Liga Veneta (cui formalmente toccava designare il leghista da mandare a Palazzo Balbi), è stato Tosi a proporre formalmente il nome di Zaia. E l’assemblea ha votato all’unanimità. Uno per tutti, tutti per uno nel mostrare il volto di un partito senza crepe.
L’esatto opposto di quanto accade nel Pdl, che offre invece l’immagine di un movimento lacerato dal malcontento dell’ala Galan. Ieri, nella ghiacciaia di piazza Bra, decine di sindaci e amministratori locali con fascia tricolore finalmente parlavano in libertà dopo mesi di manfrina. E si confidavano che la fine dell’era Galan era stata decisa da mesi. Che è stato il governatore ad alimentare la polemica per non essere scaricato senza contropartita. Che la minaccia di una lista autonoma scissionista è unicamente «pro domo sua». Che la «pausa di riflessione» del Doge serve in realtà a guadagnare tempo per trovargli un posto adeguato. E che l’accordo con la Lega non è in discussione. Sabato sera ad Arcore da Berlusconi c’era anche Brancher assieme a Bossi, Tremonti e Calderoli. «Tra noi non ci sono problemi», ha assicurato ieri il sottosegretario alle Riforme.
Alberto Giorgetti, coordinatore del Pdl veneto, mostra più cautela: «Entro Natale bisognerà definire un accordo globale con la Lega, dev’essere riconosciuto il valore di 15 anni di buon governo veneto e garantita la continuità. E il Pdl dovrà definire una lista forte e competitiva che ci confermi primo partito veneto».

Per Francesca Martini, che è stata consigliere regionale e assessore con Galan, «la resistenza a oltranza del governatore è un fatto interno al Pdl. Dopo 15 anni è giusto lasciare spazio a forze rinnovatrici. I messaggi in stile “dopo di me il diluvio” sono destinati a rientrare».
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