Totti non fa il cucchiaio ma l’Italia trema «Ci avevo pensato...»

Francesco: «È la mia rivincita contro i critici che mi hanno massacrato. Oggi mi sono sbloccato, ma non è la gioia più bella della mia vita»

nostro inviato

a Kaiserslautern
Tifiamo tutti per il Pupino. Forse è l’unico che sappia dare l’ispirazione giusta al Pupone, che poi è il papà. Quella foto rimarrà nei ricordi di famiglia: papà Totti che corre felice con il dito in bocca, come Cristian che succhia il ciuccio. Prego voltare pagina: non è più il tempo di ripensare all’ultima topica dell’europeo del 2000, alle brutte abitudini coreane, allo sputo-day in Portogallo, a quell’intervento di Vanigli che, da febbraio in poi, è stato la croce del suo credere nel pallone. Prima il dito se lo mangiava, ora se lo ciuccia. Strano ma vero: è il segno della crescita.
Ritroviamo un’Italia sollevata dalle mani e dai piedi di questo Pupone, un po’ viziatello, core de Roma, ma che non sta nel cuore di tutta Italia. Totti è comparso sotto il nostro gigantesco pallone gonfiato e l’ha sollevato come un Ercole. È riapparso negli occhi come tutti lo vorrebbero: meno barzellettiere e più campione. Finalmente ha ripagato quel credo che tecnici e commissari tecnici gli hanno regalato con tanto pegno personale per ricavarne soltanto un mortificato e mortificante: «mi dispiace, ho sbagliato».
Ieri il Pupone non era la controfigura di un burino di Trastevere, ma un moderno narratore di favole e di incanti. Un attimo per pensare davanti al dischetto, quando tanta parte d’Italia gli sussurrava fra i denti: «Per favore lascia stare il cucchiaio, non fare il fesso, non ci rovinare la speranza». Un’idea che lo ha attraversato per qualche attimo. Poi deve aver pensato a Cristian, che con i suoi occhioni gli suggeriva: «Papà, non sarai mica matto!». Totti deve aver sentito. Grazie Cristian. «C’era troppo caldo, il cucchiaio non andava. Meglio battere come avete visto». Questo il racconto, che non diventa barzelletta neppure quando Totti ti dice che, prima di battere, in testa frullava solo un pensiero fisso: «Come esultare». E che poteva diventare un pensiero fesso, se non avesse realizzato.
Ma tutto è bene quel che finisce bene. Dopo quattro mesi la caviglia rotta è diventata un ricordo. Tutto cominciò il pomeriggio del 19 febbraio. Tutto si è dissolto in un afoso lunedì tedesco del 26 giugno. Totti ha finalmente fatto pace con se stesso e con l’Italia. Lui che divide e non sempre unisce. Lui che potrebbe indurre ogni giorno al referendum abrogativo per la sua presenza in nazionale: «si» o «no». Anche se ha già deciso di lasciare dopo il mondiale. Lui che, quando esce dalla tana romana, diventa un pupino anche nel gioco. Qui in Germania era un ragazzo attraversato da mille paure, ma quei capelli corti lo facevano ancora più piccolo, indifeso, spaesato. Vedi Totti, immagini un divino gladiatore calcistico e ti ritrovi con un racchietto liofilizzato. Lo raccontava un giornalista olandese abituato ai suoi Van Basten. Ce n’eravamo accorti tutti noi, patria sua e nemici suoi. Ieri il ragazzino ha ritrovato presenza regale. «Ho fatto un lancio a Perrotta e mi sono sbloccato». Si è messo davanti al dischetto e si è sgravato d’un peso.
I polmoni hanno ripreso aria, il cielo è tornato azzurro, la vita calcistica ha ricominciato a restituire un po’ di sapor dolce. Sì, il fiele è ancora sulla punta della lingua. Totti proprio non se l’è risparmiato. «Non ho mai risposto a chi mi criticava. Aspettavo la rivincita ed è arrivata. Ora vengano allo scoperto quelli che mi hanno massacrato». Non si può pretendere che un Pupone, ancora un po’ Pupino, diventi anche un santo. Basta che segni i gol. Questo è il primo che realizza nella storia dei suoi mondiali, il primo dopo l’incidente: l’ultimo risaliva a febbraio contro il Cagliari. E sempre su rigore. Il dischetto ha caratterizzato meraviglie e qualche follia. Il tiro a cucchiaio che fece paralizzare mezza Italia. Quando Maldini ha pensato quello che avrebbe pensato Cristian: «Questo è matto». E lui fece ammattire tutti.
Poi il cucchiaio è diventato un simbolo di sbruffoneria. Totti il simbolo di un’incompiuta calcistica. Oggi è un cavaliere da carezzare nel nome della patria calcistica.

E poco importa che dica: «Ci sono altre gioie più importanti nella vita: lo scudetto della Roma e la nascita di mio figlio. In fondo ho tirato solo un rigore, anche se la porta era piccola e il portiere enorme». Come la sua responsabilità. Forza Cristian, a trent’anni papà si è fatto adulto: dito in bocca e Italia sulle spalle.

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