Di questi tempi, incontrare un tifoso milanista sconsolato, è come ricevere una richiesta, pressante, di soccorso. «Ma chi compra il Milan?» è il primo, scontato quesito a cui risulta elementare rispondere con una fotografia dell'attuale calciomercato rossonero («nessuno al momento»). Più complicata appare la replica agli interrogativi successivi che chiedono conto di tanti, allarmanti segnali provenienti da via Turati e dalle sberle collezionate dalla squadra nel frattempo affidata a Leonardo e per i quali c'è assoluto bisogno di una premessa. Immaginare che dinanzi a ripetuti segnali di cedimento della struttura calcistica milanista, ci sia un solo responsabile o un solo motivo, magari tecnico, è operazione superficiale. Qui possiamo mettere in fila una serie di convincenti spiegazioni: prima tra tutte la sequenza ossessiva delle amichevoli condite di faticosi trasferimenti che hanno ingigantito carenze e usura di fondo. È vero, c'è dell'altro, molto altro: l'assenza di un portiere rassicurante (e Storari risulta persino più affidabile di Kalac), il lento e macchinoso recupero di alcuni esponenti fermi da troppi mesi per interventi chirurgici di un qualche rilievo (Gattuso, Borriello, Kaladze, Nesta), la necessità di costringere i reduci dal Sud Africa a un immediato test senza avere nei muscoli il minimo collaudo, il mancato arrivo dei due rinforzi reclamati a viva voce da Leonardo per allestire lo schieramento tattico studiato durante gli studi fiorentini di Coverciano. Per queste attenuanti generiche, abbiamo il dovere di assolvere la compagnia di giro e il suo giovin condottiero.
Ma è il piano del precampionato che nasconde trappole infernali: 5 sfide raccolte in dieci giorni non rispondono ad alcun criterio tecnico. È vero, il calendario fu preparato con Ancelotti sulla panchina ed è stato «ereditato» dal suo successore, aziendalista dello stesso stampo. A Milanello c'è già chi vorrebbe scovare nel commerciale (il settore che si occupa dei contratti) il responsabile del «massacro» ma non è operazione saggia. La questione è molto più complessa. Anche l'anno scorso la partenza venne scandita da figuracce e sconfitte a ripetizione: Ancelotti fu costretto a raggiungere Galliani in Versilia per fornire spiegazioni pertinenti a quella partenza falsa. Di fatto pesò sull'inizio del torneo (le prime due sconfitte contro Bologna e Genoa) e il capo dei preparatori Tognaccini dovette attendere la sosta invernale per rimodellare una preparazione sufficiente. L'arrivo di un nuovo tecnico, Leonardo, avrebbe richiesto la modifica del piano preparato per Ancelotti: non c'è stato il tempo per cambiare strategia e forse la «dote» americana (una cifra che si aggira tra i 2 e i 3 milioni di euro) rappresentava un incasso utile a un bilancio appesantito tra aprile e maggio dal disavanzo di 67 milioni di euro. Anche l'addestramento dei giovani, su cui s'intende puntare per volontà dichiarata del patron, ha bisogno di lavoro sodo, di studio, di esercitazioni ripetute prima di collaudi così severi e impegnativi. Immaginare che l'ingresso di Leonardo avrebbe replicato i frutti raccolti con l'avvento di Capello al posto di Sacchi è un esercizio di ottimismo esasperato. Don Fabio (che non giocò la Champions league il primo anno) ereditò l'architettura sacchiana: fu sufficiente procedere a una ristrutturazione indolore, via il fuorigioco sistematico, dimezzato il pressing, per raccogliere i risultati.
Tour de force Una preparazione così uccide lautostima
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