Genova - Ora non possono neppure dire che non è vero: a Genova il Pd ha perso la testa. Probabilmente non era necessario attendere la disfatta delle primarie, ma ieri sono arrivate anche le prove. Schiaccianti. E numerose.
Ha perso la testa il partito, che vede le dimissioni presentate dal segretario regionale Lorenzo Basso e dal suo collega provinciale Victor Rasetto. La vittoria di Marco Doria, indipendente sostenuto da Nichi Vendola, che ha fatto fuori le due donne del Pd che si azzuffavano tra loro, non poteva restare senza conseguenze.
E ha perso la testa anche l’ormai ex sindaco Marta Vincenzi, che si attacca al computer per scolarsi tutto d’un fiato una serie di messaggi su Twitter. Ma siccome non regge l’ubriacatura da sconfitta, le rinviene tutto il veleno che ha sempre conservato per amici e nemici. La lista delle scuse va al ballottaggio con quella delle accuse. La sindaco meno amata dai genovesi dice di aver perso perché è donna e «oggi le donne riescono a non farsi uccidere solo quando perdono, ma ci mettono secoli a far riconoscere il valore della propria intelligenza. A Ipazia è andata peggio».
Si vede martire e vittima, una calimera piccola e rossa che non sbaglia mai. La butta sul sesso, perché se sente dire di sé che è «una megera», o anche «una lavandaia che litiga», è solo perché è nata femmina. Mica per altro. Gli uomini? Tutti cattivi e contro di lei. Persino don Gallo, che dev’essere improvvisamente diventato solo omonimo di quel prete da strada che lei usava sempre per farsi bella con centri sociali e no global, finisce nella pagella che scotta della preside pronta a bocciare tutti: «Basta con ’sta fissa delle infrastrutture, di Smart cities - si sfoga ancora su Twitter - Vuoi mettere come è meglio parlare di beni comuni? Specie se benedice don Gallo. A proposito chissà dove sarebbe stato Don Gallo al tempo di Ipazia?».
La colpa della sconfitta è di tutti tranne la sua. È della «cultura, dei nostri intellettuali, dei giovani studenti, delle firme dei giornalisti, della buona borghesia». E soprattutto del suo stesso partito, che in effetti ha fatto il possibile per cacciarla, nonostante il primo mandato in scadenza preveda la ricandidatura senza primarie: «Speravo che il Pd mi digerisse elaborando il lutto del 2007 - non usa giri di parole Marta Vincenzi - non è successo. Il mio errore è stato questo. Ho persino cercato di nobilitare la guerra che mi hanno fatto dipingendo le primarie come utili. Dovevo dargli una mazzata subito invece di aspettare che si rassegnassero».
Già, il Pd. Il vero sconfitto. Perché se Marta Vincenzi ha perso arrivando seconda, Roberta Pinotti, la senatrice che rappresentava la segreteria che ha voluto a tutti i costi le primarie, è finita addirittura terza e doppiata dal vendoliano indipendente: 46 per cento a 23 per cento. Tanto a poco. Tanto comunque da dimostrare che a Genova non esiste più quel Pd che aveva ereditato dal Pci prima e dal Pds-Ds poi la capacità di «far eleggere sindaco anche il primo camionista che passa per strada».
L’arroganza realistica di una frase pronunciata da un funzionario di partito all’atto di «licenziare» l’ex sindaco Adriano Sansa, oggi si sgonfia di fronte al rischio concreto di perdere tutto, in uno dei fortini rossi più inespugnabili d’Italia. Con la vittoria di Marco Doria però cambiano tutti gli scenari, a sinistra non si sa più che fare. Perché la città inizia ad aver paura del professore comunista, il «marchese rosso» che punta tutto sull’antipolitica e sul rifiuto della casta. E che non a caso viene subito richiamato al suo passato recentissimo proprio da uno dei massimi esponenti dei poteri forti.
«Come Camera di Commercio di Genova, Doria lo avevamo nominato noi nel consiglio di indirizzo della Compagnia San Paolo», gli ha fatto notare ieri Giovanni Berneschi, presidente della Banca Carige. Primo siluro al Doria.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.