Tradimento Aspettando gli americani complottano i romani

di Tony Damascelli
Claudio Ranieri era un uomo solo e nemmeno più al comando. Gli era già capitato a Torino, laddove una parte della stampa e la stessa società Juventus, nelle persone di Elkann e Blanc, lo avevano delegittimato, nonostante il terzo posto in classifica a due giornate dal termine del campionato. A Roma i franchi tiratori sono da individuare ancora nella stampa, scritta e radiofonica, nello spogliatoio abulico e passivo, mentre la società, nella persona di Rosella Sensi, è stata sempre a fianco dell’allenatore fino a quando le stesse vicende del club non si sono modificate con l’intervento pesante di Unicredit e la vendita della proprietà. La Roma, rispetto alla Juventus, sta scivolando sulle proprie sconfitte, quattro consecutive, ha undici punti in meno rispetto allo scorso anno.
Torno a Unicredit: si è presentato, giovedì scorso, con il suo vicepresidente Fiorentino nel ritiro della squadra per rassicurare non si sa bene chi e che cosa, aggiungendo confusione a una situazione già squilibrata, dopo aver reso pubbliche alcune iniziative che solitamente andrebbero gestite con la massima discrezione e prudenza, essendo la roma, tra l’altro, quotata in Borsa.
Ora la decisione di assumere Vincenzo Montella è un salto nel buio, ricorda l’esperienza di Ferrara alla Juventus, entrambi “costretti” a guidare un gruppo di ex compagni, un clan di cui si faceva parte. Sembra, allora, che la scelta di Montella sia stata suggerita, oltre che da evidenti motivi di bilancio, dai veterani dello spogliatoio, Totti primo fra tutti. La stessa fazione che nulla ha fatto, nemmeno nelle ultime ore, per stringersi attorno all’allenatore e per ammettere, soprattutto, le proprie responsabilità. Di certo Ranieri ha commesso errori ed omissioni che riguardano qualunque allenatore, ha vissuto il sogno di romanista che allena la squadra per cui fa il tifo, nella città che lui stesso conosce meglio di ogni altro, ma il tritacarne romano non lo ha risparmiato.
Il futuro romanista non ha colore, sia in campo, sia in società. Il gruppo di imprenditori americani non ha una identità che invita a sperare e le “cordate” sono una delle cose più pericolose nell’acquisizione e nella gestione di un club. Il caso Roma-Ranieri non è l’unico in Italia. L’Inter ha cambiato quindici allenatori in quindici anni, lo spogliatoio nerazzurro si è separato dalla conduzione di Benitez così come la dirigenza, da Moratti in giù, aveva fatto con lo stesso spagnolo e con altri tecnici, da Tardelli a Lucescu, da Lippi a Hodgson; la Juventus ha assunto sei allenatori in cinque anni, la posizione attuale di Delneri è in bilico anche se esiste un concorso di colpe evidente del tramonto bianconero e porta i cognomi di Elkann, Blanc, Bettega e Marotta. La proprietà ha chiuso la cassa ma non ha capito che il popolo bianconero (vedi alla voce lavoratori Fiat), già avvelenato dalla crisi generale del Paese, andrebbe almeno riscattato con il dolce della squadra di football, «qualcosa per la domenica», diceva Gianni Agnelli; i Della Valle hanno scaricato Prandelli ma non hanno trovato rimedio con Mihajlovic; il Milan non gioca un football in linea con la sua storia ma, almeno fino a prova contraria, Allegri riceve la massima protezione dal club (di cui godeva anche Leonardo, in verità).
Riassumendo: la Roma aspetta gli americani ma Ranieri è stato tradito dagli italiani, dai romani.

Il football non prevede romanticismi e nemmeno riconoscenza, semmai è terreno fertile di agguati e colpi bassi. Domani la Roma gioca il recupero di campionato contro il Bologna: due vicende analoghe di club che hanno fatto la storia del nostro calcio. E che ora occupano soltanto la cronaca.

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