Al cinema negli anni Novanta la si è vista spesso. Soprattutto nei film del marito, Roberto Benigni, ma anche in una bella produzione del 2002 di Cristina Comencini, «Mi piace lavorare Mobbing», forse la sua più riuscita interpretazione. Su di un palcoscenico invece Nicoletta Braschi, cè salita, dopo due decenni di assenza, soltanto tre anni fa per interpretare «Il metodo Gronholm» di Jordi Galceran.
E nato così il suo rapporto con Tony Laudadio ed Enrico Iannello, i due attori che laffiancano anche in «Tradimenti» (Betrayal» del londinese Harold Pinter, in scena al Teatro Franco Parenti da domani fino a domenica, con la regia di Andrea Renzi.
Rappresentato per la prima volta nel 1978 e accolto subito come un grande successo, «Tradimenti» è stato scritto dal Premio Nobel 2005 per la letteratura sulla base di una esperienza personale venuta alla luce solo di recente: una tormentata relazione con la giornalista televisiva Joan Bakewell, consumata alloscuro della moglie. Al centro del racconto, che procede a ritroso attraverso una sequenza di nove flashback, cè il rapporto clandestino tra Emma e Jerry. Allinizio della pièce li vediamo incontrarsi in un bar, immersi in un clima di algido rammarico, quando ormai tra loro è tutto finito. Poi eccoli muoversi allindietro nel tempo: aggirarsi per ambienti formali e sofisticati, mentire ripetutamente a Robert, marito di Emma e miglior amico di Jerry, reggere con grande professionalità, con un certo senso del mestiere, un rapporto ipocrita cominciato con un bacio.
Il tutto allinterno di un ambiente borghese e colto, che ricalca nel dettaglio il mondo delleditoria londinese degli anni Settanta, di cui il drammaturgo era già una figura di spicco. Da questo testo venne poi tratto un film di cui lo stesso Pinter volle scrivere la sceneggiatura, quasi a sottolineare limportanza che quellesperienza personale rivestiva per lui.
A leggere il testo, sembra che su questa situazione di perfetta ipocrisia Pinter si guardi bene dallesprimere un giudizio. E proprio così signora Braschi?
«Sì, è vero. E me ne guardo anchio. Nel testo siamo di fronte a degli esseri umani semplicemente fatti così, a persone inesorabilmente fragili che Pinter tratta con molto rispetto e sense of humour genuinamente britannico. Individui che si fermano un attimo prima del disastro, prima che tutto intorno a loro frani, prendono le distanze da se stessi, si guardano e decidono di allontanarsi reciprocamente».
In questo sguardo su di una certa condizione umana cè però un tono di mera constatazione che può lasciare allibiti. Comè possibile, di fronte al tradimento e allinganno, rimanere a guardare? Non cè proprio nessuna considerazione morale da fare?
«Pinter non ne fa, ma ci mette qualcosa di più importante: mette a nudo la fragilità delle persone, la loro trasparente umanità; insomma, ce le mostra nella loro debolezza costitutiva. In questo consiste il merito più grande del testo».
Interpretare Emma non deve comunque essere facile
«No, certo, ma non più di altri personaggi. Per me è importante che i ruoli che interpreto siano altro da me, che non ci siano somiglianze: la distanza mi aiuta a entrare meglio nella parte. Emma è una donna che raramente dice la verità: cè un senso inespresso in ogni battuta che è quanto di più difficile da comunicare
».
Perché allora ha scelto di recitare in questo spettacolo?
«Si era appena conclusa la tournée del Metodo Gronholm; Tony Laudadio, Enrico Iannello e io eravamo alla ricerca di un testo sul quale metterci ancora alla prova e ci siamo imbattuti in Tradimenti che, fin dal titolo, ci è sembrato molto attuale. Lo stimolo principale è stato però quello di lavorare di nuovo con Tony ed Enrico, di continuare un discorso iniziato insieme. Poi si è aggiunto a noi un bravo regista come Andrea Ranzi».
A proposito: ho letto in alcune sue interviste che, in fase di lavorazione degli spettacoli, lei si affida totalmente al regista
«Certo, ne rispetto al millimetro le indicazioni, i suggerimenti, le decisioni ».
Un gesto di grande fiducia. Proprio nessun tradimento?
«Assolutamente no».
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