La tragedia di Genova

In quella notte di sballo da cocaina, tra due compagni occasionali, la vita tenera di Alessandro, 8 mesi, portato dalla mamma all’incontro, era finita contro il bracciolo duro di un divano. Sul corpicino segni di un morso e di bruciature da sigaretta, il cranio fracassato. Per quell’atroce delitto, che aveva sconvolto la piccola comunità di Nervi, dove è avvenuto il 15 marzo scorso, ma anche Genova tutta, era stato incarcerato Giovanni Rasero, broker genovese di 29 anni, accusato di omicidio pluriaggravato dalle sevizie, dalla minorata difesa, dai futili motivi e dalla crudeltà. L’unico imputato nel processo per l’infanticidio è stato condannato ieri a 26 anni di reclusione dai giudici della Corte di Assise di Genova, che, a sorpresa, hanno però chiesto anche la riapertura delle indagini sulla madre del bambino, Katerina Mathas, giovane di 27 anni di origini greche. Il pubblico ministero Marco Airoldi aveva cambiato il capo di imputazione per la donna da omicidio volontario in concorso con Giovanni Antonio Rasero, in abbandono di minore con conseguente morte, chiedendone la scarcerazione. La donna era stata rimessa in libertà dopo 17 giorni di custodia cautelare. Ora le indagini a suo carico per l’omicidio del proprio figlio sono state ufficialmente riaperte.
Con ogni evidenza i sei giudici popolari della corte d’Assise di Genova, presieduta da Massimo Cusatti, hanno ritenuto che vada rivista anche la posizione della mamma del bambino. Forse dagli avvocati della difesa del broker (a sua volta papà di due bambini e separato dalla moglie) hanno raccolto le perplessità che aleggiano su quella notte in cui nel monolocale di Nervi, insieme con il bambino, c’erano comunque due persone: Katerina e Rasero.
Gli avvocati dell’imputato, i legali Romano Raimondo e Andrea Vernazza, hanno puntato su questo aspetto anche nella requisitoria finale. Per la difesa si trattava di un processo indiziario in cui mancava la prova della colpevolezza dell’imputato. Non è stato così per il pubblico ministero Marco Airoldi, che ha portato avanti la propria convinzione suffragata dagli esiti investigativi, che sia stato senza dubbio Rasero ad uccidere il bimbo, figlio della sua amante occasionale e compagna di nottate a base di droga. Per questo aveva chiesto la condanna all’ergastolo. Secondo Airoldi il bimbo fu ucciso nell’ora e mezza di quella tragica notte in cui Katerina Mathas si allontanò dal monolocale di Nervi per comprare altra droga lasciando il figlio al ventinovenne. L’uomo, in preda ad una crisi indotta dall’astinenza da cocaina, avrebbe aggredito il bambino infastidito dal suo pianto. Accortosi di averlo ucciso, lo avrebbe seviziato, procurandogli delle bruciature di sigaretta e mordendogli un piede. Rimettendolo poi dove lo aveva trovato, e andando a dormire. La madre rientrando si sarebbe occupata solo di sniffare cocaina senza controllare il figlio adagiato sul divano, laddove l’aveva lasciato novanta minuti prima. Solo la mattina successiva, al risveglio, si sarebbe accorta della morte del figlio portandolo, accompagnata da Rasero, all’ospedale. Qui i medici ne poterono però solo constatare la morte, avvenuta nella notte, quindi diverse ore prima.
Nel corso delle indagini, in corrispondenza dei morsi sul piedino, è stato trovato il Dna di Rasero, in quale, non sapendo di essere intercettato, parlando in carcere con i suoi familiari ammise di esserne l’autore. Per l’accusa è stata questa la prova cardine su cui si fonda la colpevolezza del broker. Adesso le indagini si riaprono, sebbene non sia stata messa in dubbio la colpevolezza dell’uomo. In aula, ad ascoltare la sentenza c’erano i familiari di Rasero. Sua madre si è sentita male. «Ha fatto tutto lei, è lei l’unica colpevole», ha gridato Pierina Cossu.

«Mio figlio è innocente, la colpa è sua», ha aggiunto incolpando dell’omicidio Katerina Mathas. «Mercoledì andrò a trovare mio figlio in carcere», ha detto, «l’unica cosa che gli diremo - ha proseguito - è che siamo disperati».

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