Tragico errore della Nato Uccisi dagli aerei 15 ribelli

Il regime di Gheddafi respinge qualsiasi forma di cessate il fuoco e la prospettiva di una trattativa con i ribelli si allontana. Il portavoce del Consiglio nazionale di transizione di Bengasi, che governa le zone liberate della Libia orientale, Mustapha Gheriani, accusa il Colonnello di «non volere la pace» e di «voler solo infliggere al popolo libico più danni possibile prima di abbandonare il potere»; e sul terreno riprendono gli attacchi dei rivoltosi: ieri mattina è stata annunciata la riconquista di Brega, città che ospita un importantissimo terminal petrolifero. Ennesimo capitolo di una guerra il cui fronte si sposta “a fisarmonica”, seminando drammaticamente vittime che restano il più delle volte insepolte nel deserto.
Mentre gli insorti tornano ad avanzare confidando nell’indispensabile copertura aerea della Nato, l’Alleanza Atlantica annuncia l’apertura di un’inchiesta sul tragico errore in un attacco aereo che ha provocato la morte di 15 tra ribelli e civili nella zona tra Brega e Agedabia. Secondo l’ammissione fatta da Issa Khamis, ufficiale di collegamento tra i rivoltosi locali e il Consiglio nazionale transitorio di Bengasi, i piloti degli aerei avrebbero aperto il fuoco perché tratti in inganno dai razzi traccianti sparati in aria dai ribelli, che stavano festeggiando l’ingresso a Brega della loro colonna motorizzata: credendosi attaccati, hanno reagito lanciando un imprecisato numero di missili e facendo una strage. Un’altra versione dell’accaduto, ripresa dai siti internet della Bbc e di Al Jazira, sostiene che nella colonna dei rivoltosi si sarebbero infiltrati dei miltari gheddafiani, i quali avrebbero volontariamente sparato in aria per provocare la devastante reazione dei caccia occidentali.
Sul fronte diplomatico, tengono banco i contatti del figlio di Gheddafi Seif el-Islam e i servizi segreti di Paesi della coalizione tra cui Gran Bretagna e Italia. Secondo il Daily Mail, il presunto erede dell’agonizzante regime di Tripoli starebbe sondando il terreno per capire come verrebbe accolto se decidesse di abbandonare la Libia. Da Londra fanno capire che se Seif el-Islam seguisse le orme di Moussa Koussa, il ministro degli Esteri di Gheddafi fuggito tre giorni fa nella capitale britannica, potrebbe essere accettato in Gran Bretagna, a patto che prenda atto che non potrà svolgere alcun ruolo politico nella Libia del futuro.
A conferma degli stretti rapporti tra Seif el-Islam Gheddafi e il mondo politico britannico giunge la rivelazione che il secondogenito del raìs libico poté contare (sempre secondo il Mail) sull’aiuto dell’ex ambasciatore di Sua Maestà a Washington per scrivere la tesi di dottorato per la prestigiosa London School of Economics.

L’assistenza fornita da Sir Nigel Sheinwald si rivelò preziosa per il conseguimento del titolo accademico, in seguito al quale l’ateneo ricevette dalla Libia una generosa donazione di un milione e mezzo di sterline. La rivelazione degli imbarazzanti legami tra l’università londinese ed il regime libico ha già costretto alle dimissioni il direttore dell’ateneo, Sir Howard Davies.

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