La tranquillità del posto pubblico sta rovinando il Paese

Un recente sondaggio ha rilevato che la massima aspirazione di un gran numero di giovani italiani, terminati gli studi, sia la conquista di un posto pubblico. Il settore pubblico infatti, anche se ai primi livelli non offre grandi retribuzioni, esercita una forte attrazione, perché in molti comparti ( vedi ministeri, amministrazioni locali, ecc. ), offre un lavoro sicuro, a vita, orari ridotti, ritmi spesso blandi, scarso controllo, maggiore libertà, possibilità di arrotondare lo stipendio o di curare meglio i propri interessi, grazie al più abbondante tempo libero a disposizione. Modello che se esteso a tutta l’attività produttiva del Paese, avrebbe già portato al fallimento sin dai tempi più remoti. Molti giovani sperano però di risolvere il proprio problema esistenziale ritagliandosi una nicchia tranquilla, dimenticando che in Italia, sia nel settore pubblico che in quello privato, c’è bisogno di gente che si rimbocchi le maniche, che ami il lavoro e che desideri affermarsi e crescere nella propria azienda grazie alla qualità del proprio impegno. La mentalità che sta dilagando, favorita da certe correnti di pensiero, è molto pericolosa perché spinge le persone a sedersi senza rendersi conto che procedendo su questa rotta, inevitabilmente, ci si schianta. Anche il settore pubblico dovrebbe quindi unificare i suoi standard a quelli del ramo privato, per dare il buon esempio, annullare una concorrenza negativa e, per lanciare forte e chiaro un messaggio a tutti e cioè che il Bengodi è finito, che in Italia si deve lavorare di più e più seriamente per risalire la china, indipendentemente da dove sia il posto di lavoro. È l’efficienza il modo migliore per recuperare denaro, non l’aumento delle tasse e quanto ci sarebbe da fare è sotto gli occhi di tutti.

Va anche reintrodotto, con urgenza, a tutti i livelli, dalla scuola all’impresa, al settore pubblico, il principio della meritocrazia, unico metodo per incentivare le migliori risorse a esprimersi e a realizzarsi nell’interesse della collettività.

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