Transatlantico nella tempesta E Tremonti si scopre frangiflutti

È un frangiflutti. Giulio Tremonti non è mai stato così a proprio agio nei corridoi di Montecitorio. Sono due giorni che la scena si ripete. Arriva in Transatlantico e a metà strada si deve fermare, circondato dai peones del suo partito. Tremonti sorride, risponde a tutti, rassicura, tranquillizza, abbassa il capo, con lo sguardo fermo e l’aria affabile. C’è un clima da antica Roma intorno a lui. Con gli ex clientes di Scajola, il «nemico» caduto, è pacche sulle spalle e caffè. Qualche deputato in seconda fila sussurra cattivo: «Li vedi? Sono preoccupati per la rielezione. Stanno cercando casa». Tremonti è la casa. È il porto sicuro. Almeno adesso, qui, in questa maggioranza dove un po’ tutti si sentono in bilico e si chiedono chi sarà il prossimo a cadere. Voci, sussurri, ipotesi di reato. Il bersaglio non è più Berlusconi. Sparano intorno. I peones hanno fiuto. Hanno capito che in questa tempesta l’homo economicus è un parafulmine. La nube nera non lo tocca. Gli onorevoli a passo svelto cercano riparo nella sua orbita. E Tremonti ci sta. Nessuno lo ha mai visto così socievole.
Il suo kharma negli ultimi tempi è dispensare sicurezza. A modo suo. Senza ottimismo. In Aula snocciola la sua ricetta. È sempre la stessa. Cautela e ancora cautela. Annuncia il ritocco della manovra. Dice che la crescita è più bassa. La pressione fiscale un po’ calerà. La Grecia è vicina ma il rischio contagio non c’è. Se va avanti così, ci salviamo. L’importante è essere sobri, accorti, morigerati. Niente rapporti a rischio. Ci crede, certo, ma è anche il vestito che ha scelto di indossare. Questa è una stagione politica strana. Si balla parecchio. Su e giù. Lui continua sulla stessa strada. Senza uno strappo. Al massimo qualche nervosismo come con la storia dell’Irap. Lì perse le staffe, ma trovò Bossi che lo blindò e lo fece tornare a Arcore. Quel giorno il Senatùr si guadagno due regioni e il ministro ritornò a fare l’uomo dei conti e delle certezze.
Quello che molti si chiedono è come immagina Giulio il suo futuro. La risposta è che lui non è un mago o un indovino. Il suo mestiere è far quadrare i conti, anche quelli politici. Individuare il suo equilibrio. Posizionarsi. Aspettare. Ed è quello che sta facendo. Non è più tempo di mettere in piazza antipatie e idiosincrasie, che sono state da sempre il suo punto debole. Il vecchio Tremonti prendeva cappello e sbatteva la porta. Ora ha capito che deve controllarsi. Sorride.
Equilibrio significa non fare braccio di ferro con Bankitalia e con Draghi. Equilibrio è dialogare con i poteri forti senza mai dargli le spalle. Equilibrio è salutare Tabacci alla buvette di Montecitorio senza lasciarsi scappare battute. Non si sa mai. Tremonti deve far passare il messaggio che lui è una risorsa. Una risorsa della maggioranza, del Paese e della Repubblica. In caso di tempesta un frangiflutti fa comodo. L’importante è non bruciarsi. C’è in giro già troppa gente che crea disequilibri cinetici. La sua filosofia in questo momento è invece parmenidea. Il movimento non esiste. Se Fini vive nel futuro, Tremonti studia il presente.
È per questo che quando qualcuno parla di governi tecnici e scenari futuribili lui non capisce.

L’unica cosa certa è che lui ha in mano la cassaforte del federalismo fiscale. E le sorti della politica prima o poi passeranno da lì. Un giorno deciderà come giocare la combinazione di carte che si sta costruendo in mano.

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