Transfughi e furbate per stare a galla

Piano per guadagnare 5 seggi a Palazzo Madama: via i dissidenti e rimozione di due senatori dell’opposizione. Prudenza sulle nozze gay, rinvio sulle pensioni, sostegno dell’Udc sulla politica estera

da Roma

Prodi ci sorprenda, dicono i dissidenti della sinistra ultraradicale. «Così potremo riconsiderare le nostre posizioni e dargli più forza in Parlamento». Prodi li sorprenderà, ma non nel senso di tornare indietro e fare concessioni su Dico, Tav, Vicenza, Afghanistan e «controriforma delle pensioni». In realtà, con il governo-dejà vu ribattezzato ieri alla Camera, è partita una fase due nella quale ci sarà poco spazio per la sinistra. «Siamo sulla difensiva», ammettono da giorni rifondatori e comunisti. Mentre i Verdi, grazie alla scaltra preveggenza di Pecoraro Scanio, si sono già riposizionati alle prime avvisaglie di crisi, negando persino di fare parte della «sinistra radicale». In cambio, hanno ottenuto grandi concessioni sull’emergenza ambientale, uno dei punti chiave delle Dodici tavole prodiane. Concessione relativa, visto che in tutto l’Occidente è scattata l’emergenza per le condizioni del pianeta. Ma nella nostra politica da pollaio, tutto fa brodo. Anche il brodo primordiale.
Il resto del galleggiamento prodiano avverrà secondo una strategia ben definita. Il dato di fondo è comunque approfittare del ripiegamento della sinistra, del cul de sac dove sono Prc e Pdci grazie a Turigliatto, Cannavò e Rossi. Poi scatteranno mosse politiche e parlamentari per tirare a campare che, Romano lo ricorda sempre, «è meglio che tirare le cuoia».
Rinforzare Madama. Nota è la progressiva riduzione delle sedute a rischio al Senato. Ma vanno anche rinforzati i numeri, anche perché Pallaro non ha certo voglia di ristabilirsi in Italia e lo stress delle trasvolate atlantiche lo ha stancato. Il piano d’azione prevede che si provi ad accelerare l’accettazione delle dimissioni di Turigliatto (senza contare quelle di ministri e sottosegretari ancora senatori). Dopo il voto sul rifinanziamento afghano è probabile che annunci le sue dimissioni anche Haidi Giuliani. Non sarà facile farle passare, ma spingi spingi qualcosa arriverà. Nel contempo, il presidente Marini ha chiesto che giunga a termine «entro un anno dalle elezioni» la questione sui seggi reclamati dalla Rosa nel pugno. La relazione sul Piemonte era già pronta, quando scoppiò la grana per il riconteggio. Presto il relatore Manzione dovrebbe poter proporre la sua soluzione, che prevede almeno due avvicendamenti «importanti». Turigliatto (se non verranno votate prima le dimissioni) dovrebbe cedere il posto a Marco Pannella o Ugo Intini. L’ex ministro socialista Carmelo Conte subentrerebbe al senatore Gennaro Coronella, di An, e si attesterebbe a sinistra, pur essendo stato votato con il Nuovo Psi di De Michelis. Non solo: in virtù della riconta dei voti, per un errore materiale, un fedelissimo di Follini, Nino Marotta, dovrebbe prendere il posto del forzista Cosimo Izzo. Volendo essere ottimisti, prima dell’estate l’Unione conterebbe su almeno cinque senatori in più, tutti «ligi» agli ordini di scuderia.
Tirare a campare. Ligio invece alla vecchia massima andreottiana, Prodi ha già fatto capire che sui temi più scottanti l’allungamento dei tempi è esiziale. Dei Dico, come si sa, il premier se ne è lavato le mani, confidando al recalcitrante Pallaro che «finché stanno alla Camera, nessuno si lamenterà». Sarà il primo caso di un sotterraneo filibustering della stessa maggioranza, che eviterà di farli arrivare in aula troppo presto. Stesso fine, ma con tattica diversa, per la riforma delle pensioni. Prodi ha rilanciato la «concertazione» con i sindacati, ben sapendo che prima di trovare un accordo condiviso passeranno molti mesi. L’eliminazione dello «scalone» costa molto, e la strada percorribile per reperire risorse sarebbe quella della revisione dei coefficienti, già prevista dalla legge Dini e non ancora partita. In alternativa, pare che possano essere destinati all’uopo parte delle entrate fiscali, ritardando la riduzione delle tasse. Di sicuro, come lo stesso sottosegretario rifondatore Gianni ha potuto verificare, «ai lavoratori non sta arrivando nulla».
Altro tema spinosissimo è quello della missione afghana, per il cui rifinanziamento sono attesi voti della Cdl, e in particolare dell’Udc (verso la quale la merce di scambio è la legge elettorale alla «tedesca»).

Nel decreto dovrebbe ormai quasi certamente trovare posto la Conferenza di pace, come richiesto da Pdci, Rifondazione e Verdi.
Così sulla Tav, ormai non messa più in discussione da nessuno, neppure da Pecoraro Scanio. Chi si ferma è perduto - è il nuovo motto di Prodi - ma chi si oppone starà pure peggio.

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