Transizione energetica

Cosa accadrà davvero alla transizione dopo la guerra in Ucraina

Tempi, obiettivi e dinamiche politiche della transizione saranno totalmente stravolti dalla crisi seguita alla guerra russo-ucraina. Vediamo perché.

Cosa accadrà davvero alla transizione dopo la guerra in Ucraina

La guerra russo-ucraina può fare una vittima eccellente, la transizione energetica. O meglio la retorica di una transizione energetica pensata come un percorso governabile in tempi brevi. La tempesta inflattiva e la bomba dei prezzi delle materie prime, del resto, avevano già dato un duro colpo alla narrazione della transizione come un pranzo di gala. Ora la guerra travolge i mercati, mette a rischio la sostenibilità politica delle forniture energetiche sull'asse Russia-Occidente, riapre la partita della politica energetica ottimale delle economie più avanzate, impone di distinguere chiaramente breve, medio e lungo periodo.

Breve periodo: bisognerà gestire la più grave crisi energetica dell'ultimo mezzo secolo. Già in corso prima della zampata di Putin, ma ora ancora più complicata. In Italia il governo Draghi lo ha capito e ha dato il via libera a misure emergenziali per evitare che uno shock energetico generi un caro-bollette e una batosta per la nostra economia. Tra cui rientra anche la possibilità di ricorrere al carbone per ovviare al rischio di un duro caro-bollette.

Medio periodo: si è capito che si accelererà sulle linee politiche inaugurate dal Covid-19. "Il cambio di paradigma economico accelerato dal virus continua", fa notare il politologo Lorenzo Castellani, sottolineando che questo consterà in "più spesa pubblica nazionale e sovranazionale, più protezionismo, accorciamento delle supply chain, tentativi di reshoring", aggingendo che "diminuirà la foga sulla transizione ecologica a causa di inflazione e problema supply chain; alcuni paesi vireranno verso una semi-autarchia (Russia, Cina), altri verso aggregazioni regionali" e questo impatterà profondamente anche sui mercati energetici, dato che cambieranno drasticamente le direttrici politico-industriali e si rafforzerà la dinamica competitiva dei Paesi nel governare la transizione energetica. Incentivando di conseguenza una svolta pragmatica che porterà a difendere la presenza di gas naturale e petrolio per compenetrare le ragioni di sicurezza nazionale a quelle della transizione. Si chiude dunque ogni prospettiva di dibattito sulla presenza del gas nelle risorse-ponte per la transizione previste dalla tassonomia energetica dell'Unione Europea.

Lungo periodo: questo è il vero pomo della discordia. Nella "Grande Tempesta" globale fatta da rivalità geopolitiche, pandemia e crisi ambientale il programamre politiche strategiche di ampio respiro si fa sempre più complicato. Così come si fa sempre più difficile ipotizzare scenari al 2025, 2030 o addirittura 2050 che prevedano la rottamazione di interi comparti economici e cambiamenti sistemici sul fronte geopolitico. Specie se per l'Occidente ciò vuol dire prevedere una crescente dipendenza industriale, in campo di energia rinnovabile, da Paesi ritenuti strategicamente rivali: la Russia di oggi potrebbe diventare la Cina di domani.

Il conflitto russo-ucraino è uno di quegli eventi che cambiano paradigmi e sviluppano riflessioni sulla tenuta dei sistemi odierni. Il mercato energetico, sulla scia della geopolitica contemporanea, è volatile e competitivo. Ora più che mai. Prezzi alti, tensioni sistemiche, guerre economiche colpiscono le capacità dei sistemi-Paese di investire sulla transizione. L'insicurezza geopolitica fa il resto. Siamo entrati in una fase di alta volatilità. I tempi e i costi della rivoluzione energetica dovranno essere completamente riconsiderati a seguito di un grande shock come quello oggi in atto.

E come il mondo, anche il contesto della transizione uscirà da questa crisi completamente mutato.

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