
Che cosa può simboleggiare una cornice vuota? Incompiutezza? Apparenza? Vuoto interiore? Se è così, le colossali cornici vuote che, poggiate sulle antiche gradinate dell'Arena di Verona, costituiscono la scenografia della Traviata (foto Ennevi) in scena fino al 2 agosto, alludono efficacemente al mondo scintillante, ma superficiale e arido, della protagonista. Azzeccata appare, dunque, l'intuizione di Hugo De Ana, scenografo, costumista e regista, che nei suoi spettacoli ricorre spesso al simbolismo suggerito da oggetti ingigantiti, e che lo propone anche in questo allestimento. Un'intuizione a volte efficace, come nel secondo atto, quando Violetta ed Alfredo sperano di trovare rifugio in un fittizio idillio campestre, e l'enorme tela a fiori nella gigantesca cornice cadrà, assieme al cadere delle loro illusioni. A volte, invece, è come se la trovata scappasse di mano al regista: nel finale primo sulla colossale cornice deve arrampicarsi l'incolpevole Rosa Feola, costretta a prodursi nel difficilissimo Sempre libera non solo ridicolmente abbigliata in guèpiere, calze a righe e stivaletti bianchi, ma traballante sulla corniciona, tenendo il pubblico col fiato sospeso più per l'incolumità fisica della poveretta che per i suoi pirotecnici virtuosismi canori. Altri buoni momenti, come durante il preludio all'atto terzo, quando cupe figure si aggirano fra le cornici, simili ad acquirenti ad un'asta dei beni di Violetta morente, si alternano a cadute di stile come il ballo in casa di Flora, dove spagnole e toreador avvolti in carta da cioccolatino dagli stridenti colori producono un risultato strepitosamente kitsch. Insomma: il meglio di sé questa Traviata lo da soprattutto grazie all'alto livello del cast degli interpreti. Rosa Feola su tutti. Con la nobiltà di fraseggio e la concretezza del timbro che gli sono unanimemente riconosciuti, le ha tenuto bellamente testa il grande Luca Salsi; un papà Germont caldo ma imperioso, tutto d'un pezzo.
Di buona caratura, anche se con qualche incertezza, l'Alfredo di Dmitry Korchak. A Speranza Cappucci direttore d'orchestra possiamo rimproverare qualche eccessiva larghezza nei tempi ma anche elogiare la cura delle sfumature più liriche e dei vigori più appassionati.