Tre anni fa il tracollo: 35mila famiglie intrappolate da un bond

Dal buco da 1.125 milioni fino al piano di salvataggio attraverso il calvario dei risparmiatori. E di mezzo miliardo si son perse le tracce

da Milano

«Scusi, abbiamo fatto un po’ di casino»: a metà novembre del 2003, convocato dal presidente della Consob Luigi Spaventa, Sergio Cragnotti ostenta sicurezza. Un bond da 150 milioni in scadenza il 3 del mese non è stato onorato. Ma febbrili trattative sono in corso con le banche e il numero uno spera ancora di salvare la Cirio. Gli istituti di credito vogliono, però, che anche il finanziere romano partecipi, e in maniera significativa, al rifinanziamento del gruppo. Lui non può o non vuole farlo. Il 20 novembre scatta il cosiddetto cross default: lo stato di insolvenza incrociata di tutti i bond del gruppo, emessi all’estero e soggetti alla legge inglese. Il gruppo alimentare non riesce a ripagare sette obbligazioni per un totale di 1.125 milioni di euro. Il calvario delle migliaia di risparmiatori (circa 35mila) che avevano comprato i bond, attirati dai rendimenti e dal marchio famoso, inizia qui.
L’agonia del gruppo in realtà si prolunga per qualche mese: solo l’8 gennaio il patron della Lazio lascia i suoi incarichi. Nei mesi successivi i nuovi vertici, il presidente Giovanni Fontana (ex ministro dell’Agricoltura) e gli amministratori delegati Gianfranco Cianci (una lunga carriera nel settore alimentare) e Roberto Colavolpe (ex Sai), le proveranno tutte per far ripartire il gruppo.
Il problema è che nelle casse di Cirio mancano 500 milioni di cui si sono perse la tracce. Che fine hanno fatto? Secondo i magistrati si sono dispersi in una serie di finanziarie con sede alle Antille, in Olanda o in Lussemburgo, al termine delle spericolate operazioni di Cragnotti. Un esempio: nel 1997 Bombril, società brasiliana del gruppo, controllata dalla Cragnotti & Partners, compra Cirio (anch’essa controllata da C&P). Il prezzo subito pagato da Bombril a C&P, società personale di Cragnotti, è di circa 400 milioni. Due anni dopo il dietrofront. La C&P ricompra la Cirio dalla Bombril. Il prezzo è più o meno lo stesso. Ma questa volta l’acquisto è a credito. C&P non verserà mai i soldi alla Bombril.
Difficile rimettere insieme una situazione di questo tipo. Nel mese di luglio del 2003 l’ultimo tentativo. I consulenti di Rothschild e della Livolsi & Partners mettono a punto un piano di salvataggio che però richiede sacrifici pesanti ai creditori e in particolare agli obbligazionisti: devono accettare di perdere tra il 30 e il 90% delle somme investite. Nelle assemblee dei possessori dei bond, che richiedono maggioranze speciali, la proposta viene bocciata. L’insolvenza viene dichiarata tra luglio e agosto. Sono passati nove mesi dal primo default e il ritardo probabilmente non dispiace alle banche. Nel 1999 la quasi totalità del debito di Cragnotti è con gli istituti di credito. Poi però, iniziano a fioccare i bond. E nel 2002 solo il 30% è verso gli istituti di credito, il resto in larga parte verso i piccoli risparmiatori. Le banche, insomma, hanno ricevuto indietro buona parte dei prestiti. E il tempo che trascorre prima dell’insolvenza le aiuta a superare i termini delle revocatorie.
Nell’agosto del 2003 entrano in scena i commissari straordinari: Mario Resca, manager di grande esperienza; Attilio Zimatore, docente di diritto privato ed esperto di diritto agricolo; Luigi Farenga che insegna diritto commerciale. Sono loro a trovare le risorse per la prosecuzione dell’attività e un po’ alla volta a vendere le società del gruppo per soddisfare i creditori. Cirio De Rica, il ramo italiano, viene ceduto a Conserve Italia per circa 170 milioni.

Nelle settimane scorse è stato messo all’asta uno degli ultimi asset: il castello Visconti di Brignano, in provincia di Bergamo. Sempre nelle settimane scorse è partita la procedura di rimborso per i primi risparmiatori: chi ha comprato i bond Cirio Del Monte Italia riceverà il 6,25% di quanto investito.

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