Insomma, dopo il sermone dello Scalfari domenicale, in versione nazionale, ecco il Manzitti lunedineale (il dizionario non mi soccorre altrimenti) in versione locale. Una lettura digestiva e corroborante, da assumersi dopo i pasti ed i pastoni politici, tra un corsivo ed una notizia dell'ultima ora di cronaca, sotto la sorridente benedizione del sindaco Pericu, del presidente della Provincia Repetto, nonché dell'innominabile governatore Claudio.
Ne è nato quello che abbiamo sotto gli occhi: tre anni di «accadde» a Genova, a cui ne seguiranno altri tre ed altri tre ancora e così avanti, per saecula saeculorum amen, visto che, in realtà, a Genova non accade nulla (che non sia di sinistra) e dunque spulciare una notizia, sparare un siluro o scagliare frecce avvelenate sempre contro i soliti amici degli amici deve essere talvolta ripetitivo, se non irritante.
A salvare Manzitti è però lo stile. Uno stile particolarissimo, che l'autore di questa raccolta si è forgiato nel tempo, frequentando - come indica esaurientemente la sua biografia - gli ambienti più disparati. In primo luogo, una vasta, dilagante, un po' salivosa logorrea, certamente retaggio delle sacrestie tavianee della giovinezza, oscilla mollemente nell'incavo della pagina. La notizia più futile, il più esile spunto di cronaca, la nota di colore più scialba, sono in qualche modo trascinate via da questo moto ondoso, fatto di moltissime subordinate che si riversano come fiacche onde sulla rena.
La tentazione sarebbe quella di abbandonarsi al riflusso, alzare i remi e calare le vele, reclinando il capo per un salutare pisolino. Ma attenti! A questo punto subentra l'apprendistato montanelliano, che ammoniva l'incauto lettore a non recedere mai dall'istintiva prudenza perché l'in cauda venenum del motto feroce, della battuta pungente, della trafittura di spillo è sempre pronto a scattare.
Infine, quando la navigazione sembra sul punto di concludersi, con reciproca soddisfazione dell'autore e - grandissima - del lettore, non è escluso che da qualche fortezza annidata tra gli scogli non parta una salva di cannonate radical - chic o qualche trombonesca tirata resistenziale oppure ancora un gioco pirotecnico di antifascismo di origine controllata, di cui la pregiata ditta Caracciolo & C. è monopolista ed esportatrice.
Ma i contrappunto di la Repubblica non si limitano comunque di certo ad un semplice gioco di stile. In essi con ammirevole precisione è delineata l'intera struttura sociale di questa città - Genova - che, estrema provincia dell'impero, permane da sempre uguale a se stessa. In altra occasione l'avevamo paragonata alla talebana Kabul. In questa occasione, invece, gli scritti di Manzitti ci suggeriscono il paragone con l'antica Sparta.
Al vertice, sono assai simili infatti alla immutabile oligarchia degli spartiati quelle che il contrappunto indica col nome di «famiglie». Le buone famiglie della Genova bene, le ricche famiglie della Genova cattocomunista, le felici famiglie, saldate da secoli da inestricabili legami di parentela: questa è il nucleo che concorre a mantenere immutata la realtà sociale della città. In questi salotti buoni, dove cooperative rosse, ideologia marxista e abbondanti abluzioni di acqua benedetta, cementano lo zoccolo duro della conservazione, gli altri, gli estranei, quelli che Dante avrebbe definito «la gente nuova» costituiscono il mondo degli iloti, degli etnicamente diversi, degli impresentabili.
Infine, a metà strada, galleggiante come un sughero su un mare in bonaccia, il variegato mondo dei clientes, quei docili perieci, ai quali qualche buon boccone allungato da sotto il tavolo può valere una eterna riconoscenza.
È questo il panorama desolato che emerge dalle pagine di Franco Manzitti. Un panorama che, ricevuta qualche anno or sono la benedizione di Dionigi Tettamanzi, agognerebbe ora a quella del cardinal Bertone.
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Franco Manzitti, Contrappunto. 2002 - 2005 «accadde» a Genova, De Ferrari Editore, Genova 2006, pag. 308, euro 20,00.
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