«Tre giudici a decidere sulle carcerazioni» D’accordo anche il Pdl ma le toghe dicono no

RomaCi vuole il numero perfetto per mettere d’accordo, una volta tanto, maggioranza e opposizione? Forse sì. Tre giudici sono meglio di uno, quando si deve valutare la custodia cautelare. A lanciare la proposta, condivisa in parte dal Pdl, ma bocciata dall’Anm, è Lanfranco Tenaglia. «Tre giudici decidono sulle separazioni consensuali tra coniugi, sui brevetti, e quindi, a maggior ragione - afferma sul Corriere della Sera il ministro ombra del Pd alla Giustizia - questo meccanismo dovrebbe essere previsto quando c’è in gioco la libertà dei cittadini».
Dopo il cortocircuito avvenuto a Potenza, con il Tribunale del riesame che ribalta l’ipotesi accusatoria del pm Henry John Woodcock contro il deputato democratico Salvatore Margiotta, l’ex giudice, «non per mancanza di fiducia nei gip», si dice dunque «favorevole a una riforma». Tanto da assicurare che il suo partito è pronto a «rivedere i meccanismi di garanzia» e chiamare in causa il governo: «Attendiamo che si decida a scoprire le carte».
Proposta «più che condivisibile», commenta intanto l’avvocato Gaetano Pecorella. «È la stessa soluzione contenuta nel ddl per la riforma del codice di procedura penale dell’ex ministro della Giustizia Castelli e ripresentata da Forza Italia nella scorsa legislatura», aggiunge il parlamentare del Pdl, convinto comunque che sia «insufficiente». Secondo Pecorella, infatti, «bisogna prevedere, come in Francia, anche il contraddittorio davanti ai tre giudici prima della decisione e dopo l’arresto provvisorio».
Disco verde da Giulia Bongiorno. «La collegialità è essenziale, anche perché garantisce maggior ponderazione nell’assumere decisioni delicate», sostiene il presidente della Commissione giustizia a Montecitorio. Dissente, soprattutto per il metodo del confronto, Alfredo Mantovano, sottosegretario agli Interni: «Si è voluto toccare un tema su cui non ci sono grandi contrasti, su cui si dibatte già da anni, per non affrontare i punti più caldi». Ipotesi «interessante, da studiare e valutare, ma che da sola non risolve nulla», spiega dal canto suo Niccolò Ghedini, avvocato del premier e deputato del Pdl. «Certamente - continua - un collegio offre maggior garanzia del singolo, è però evidente che non è la soluzione definitiva». Ecco perché, «bisogna ridurre i casi in cui è possibile la custodia cautelare», da consentire «solo per i reati più gravi», e «stabilire anche le sanzioni disciplinari per i magistrati che assumano decisioni che si rivelano ex post del tutto infondate».
Disco rosso, invece, dall’Associazione nazionale magistrati. «Così come è ora la situazione degli uffici giudiziari italiani, sotto il profilo degli organici, è un’ipotesi non praticabile - rimarca Luca Palamara, presidente dell’Anm - prevedere un collegio di tre giudici per le misure cautelari».

Il nuovo scenario «porterebbe, per il sistema delle incompatibilità, alla paralisi dell’attività dei piccoli tribunali». Sulla stessa linea Antonio Di Pietro, leader Idv, che considera la proposta una «sparata che non risolve i problemi».

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