Le tre occasioni che la sinistra si è fatta scappare

Nel dibattito storiografico sull’«anomalia italiana» si inserisce ora una significativa riflessione di Ernesto Galli della Loggia (Tre giorni nella storia d’Italia, Il Mulino), riguardante le cause storico-politiche di tale eccezione. Secondo l’autore, l’anomalia italiana è dovuta alla mancanza di una vera unità nazionale, la quale, nel corso del Novecento, ha generato una divisione inconciliabile fra gli opposti schieramenti politici, creando l’impossibilità di una alternanza al governo. Il fattore più negativo di questa anomalia è stato il venir meno di un ethos conservatore capace di garantire una continuità politica, istituzionale e ideale. A conferma di questa interpretazione, Galli sceglie tre momenti della storia: l’avvento del fascismo, la vittoria elettorale della Dc nell’aprile del 1948, la vittoria di Berlusconi nel marzo del 1994.
L’avvento del fascismo segna il difficile passaggio dal liberalismo elitario alla democrazia di massa. Quali sono stati i fattori che hanno portato Mussolini al potere? Prima di tutto la guerra, la quale, mobilitando centinaia di migliaia di individui, ha creato una repentina politicizzazione di massa. Il conflitto ha nazionalizzato gli italiani e il fascismo ha saputo cogliere questa svolta. Altri fattori hanno inoltre contribuito alla vittoria fascista, tra cui la debolezza della cultura liberale. Ancor più, però, secondo Galli, l’avversione dei socialisti e dei cattolici allo Stato liberale: poco o nulla fecero per difenderlo.
Il secondo momento è rappresentato dalla vittoria elettorale della Dc del 1948. Questa vittoria rompe l’unità antifascista nata dalla Resistenza perché, sebbene dalla lotta comune contro la dittatura sia nata la democrazia, le divisioni ideologiche nell’antifascismo erano laceranti e gravi. La vittoria della Democrazia cristiana sui socialcomunisti permette al nostro Paese di porsi definitivamente nell’area atlantica e occidentale, creando la possibilità di una normalizzazione politica e istituzionale. Tuttavia i cattolici, come gran parte della sinistra, hanno poco senso dello Stato, perché privi di una cultura nazionale. Questa carenza, unita al permanere dell’inesistente ethos conservatore prima accennato, fa sì che il vuoto del sentimento nazionale sia riempito da quello dell’appartenenza ai partiti, la partitocrazia finirà per surrogare la vita dello Stato.
Il terzo momento, scelto da Galli, è quello della vittoria di Berlusconi nel 1994. L’autore sottolinea come il sistema di potere nato con la Dc sia stato per quarant’anni bloccato per l’impossibilità di un’alternanza di governo perché la vittoria dell’opposizione, rappresentata dal Pci, avrebbe significato non un fisiologico ricambio, ma una radicale alternativa dell’intero quadro politico-istituzionale; prospettiva che avrebbe portato il Paese fuori dal sistema occidentale. L’immobilità del sistema politico cementò lo strapotere dei partiti, finanziati in gran parte illecitamente. Questa centralità della partitocrazia generò «un intreccio politico-economico-burocratico sempre più ramificato e soffocante di sottogoverno». Di qui la fortissima delegittimazione, alla fine degli anni Ottanta, dell’intero sistema politico e l’avversione dell’opinione pubblica. In tale situazione scoppia la crisi della prima Repubblica e in questa svolta drammatica gli ex comunisti - usciti ingiustamente indenni da Mani Pulite - hanno l’occasione di prendere il potere senza pagare il prezzo del fallimento catastrofico del comunismo.
È in questo contesto che emerge Silvio Berlusconi, il quale si fa interprete di quella parte del Paese che non accetta la prospettiva di una vittoria della sinistra. Berlusconi si rende conto della possibilità di convogliare milioni di voti dei moderati. Nasce così, grazie a questa figura anomala di imprenditore entrato in politica, la possibilità di ottenere «l’alternanza di governo». Berlusconi si delinea come «l’artefice di fatto del bipolarismo italiano». Nel 1994 la sua fortuna politica ed elettorale fu dovuta anche all’inchiesta di Mani Pulite, che distrusse solo una parte dello schieramento politico italiano, delineando «un’univoca attribuzione di colpa ai partiti di governo»; azione, questa, che agli occhi dei moderati, sembrò assegnare «un vantaggio indebito alla sinistra».

Il messaggio implicito del saggio di Galli della Loggia pare essere questo: per tre volte consecutive, 1922, 1948, 1994 - tre volte in cui vi è stata la possibilità di un cambiamento -, la sinistra è stata sconfitta. Forse sarebbe ora che passasse dagli anatemi e dalle dietrologie ad una seria e pacata riflessione storico-politica di segno autenticamente riformista.

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