Sergio Rame
Il tracollo del Novecento è stato linevitabile passaggio per la felicità del presente: una bieca rivoluzione, una guerra inutile e unumanità che ha perso i propri sogni e i propri desideri. Ma, nel cuore, la coscienza di poter guarire - prima o poi - la società malata. A centanni dalla morte di Anton Pavlovich Cechov, Maurizio Schmidt porta sul palcoscenico del Teatro Out Off (via Mac Mahon 16), le Tre sorelle.
Un capolavoro. Quattro atti. Quattro giovani che si trovano ad affrontare la vita orfani di entrambi i genitori: Andrej e le sue tre sorelle Olga, Masha e Irina sono figli di un defunto generale e vivono circondati da un coro di giovani militari inoperosi presso una guarnigione sperduta nella provincia russa. Nella casa paterna passa il tempo, si sgretolano i sogni del futuro. Nessuno realizzerà il progetto di tornare a Mosca e la villa verrà espropriata dalla giovane moglie di Andrej, Natasha.
La pièce è ambientata in un mondo guerriero in crisi di identità davanti al sogno della fine delle guerre. Sogno che, nel periodo della grande «depressione» russa, pareva poter essere realizzato. Davanti al crollo di un vecchio mondo e della felicità che lo stesso progresso porterà, i personaggi dellopera di Cechov si riferiscono, con una reiterazione quasi ossessiva, alla «vita che verrà» e mandano messaggi a «coloro che vivranno tra cento o duecento anni» raccomandandosi a loro perché le proprie sofferenze non vadano dimenticate e siano servite a creare un futuro migliore.
A cento anni esatti dalla morte di Cechov Tre sorelle viene ancora accolto come uno spettacolo misterioso e inafferrabile. Capace di incrociare vaudeville e dramma, lautore russo porta in scena atmosfere umanamente delineate e personaggi al limite del patetico: il presente non può garantire la felicità delluomo, ma può essere la base per una futura società capace di vivere in pace.
Il tema delle sofferenze di unepoca di rivoluzione che avranno come premio la felicità dellumanità tra cento anni attraversa tutti i drammi maggiori da lui scritti alla fine della sua vita. Cechov morì nel 1905: parlava agli uomini «felici» che vivranno dallanno 2005. Cioè noi.
«Questo spettacolo è unopera su una generazione di giovani, senza padri e senza madri - spiega il regista - unopera che si affaccia sul Novecento, epoca capace di stritolare tutti i suoi maggiori protagonisti. Anche gli unici due personaggi adulti, il nuovo comandante e lufficiale medico, sembrano adolescenti mal cresciuti».
Ecco, quindi, un gruppo di giovani attori allinizio del nuovo millennio affrontare quelle sequenze di azione così antiche cercando di integrare con la propria fantasia quello che le note non possono tramandarci: il loro ritmo, il senso, lintenzione.
«Provare a tornare in quelle scarpe che sono state di Mejerchold, Olga Knipper, Stanislavskij e rifare i loro gesti non nasce ovviamente dallidea di poter copiare risultati scenici inconoscibili prima che irraggiungibili - conclude Schmidt - permette un contatto diretto con quellepoca di inizio secolo forse simile alla nostra che interroga così gli attori direttamente sullantica storia di quelle Tre Sorelle che non andarono mai a Mosca, come spesso capita anche a noi».
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