Roma Dietro il berlusconiano ghe pensi mi c’è tutta la voglia e la determinazione di cambiare passo. Partito ieri alla volta della Sardegna per un paio di giorni di riposo prima a villa La Certosa e poi ad Arcore, il premier è risoluto e deciso. È stufo marcio di Fini, dei finiani e del loro controcanto continuo. Più volte è sbottato coi suoi che «così non si può più andare avanti», parlando del cofondatore del Pdl, ormai considerato dal Cavaliere soltanto un «traditore». Passerà qualche giorno di decantazione ma poi sarà la resa dei conti. Forse già mercoledì, durante l’Ufficio di presidenza del partito. Berlusconi non è più intenzionato a farsi logorare quotidianamente dal presidente della Camera e dai suoi fedelissimi e vorrebbe risolvere la questione una volta per tutte. Vorrebbe dire addio al suo ex alleato anche se non è facile metterlo alla porta.
In effetti a Fini conviene lo status quo: ha enorme visibilità sui media, posti di potere, ministri, sottosegretari, coordinatori e vicecoordinatori regionali di partito, siede sulla poltrona più alta di Montecitorio e ha accanto a sé, oggi, più parlamentari di quanti non ne avrebbe un domani se si andasse alle elezioni separati. Insomma, la strategia del Vietnam gli giova. Guerriglia su tutto: intercettazioni, manovra economica, federalismo, lodo Alfano, decretazione d’urgenza, cittadinanza, temi etici, immigrazione, rapporti con la Lega e chi più ne ha più ne metta. Ormai gli spazi di una trattativa per ricucire non ci sono più ma il problema è che agli occhi di Berlusconi Fini è una sorta di moglie infedele che non ha nessuna intenzione di lasciare la casa.
Più volte l’ex leader di An ha assicurato che di far le valigie non ci pensa nemmeno e anche ieri Bocchino era più esplicito che mai: «Se qualcuno pensa che la separazione consensuale significa che Fini e gli uomini a lui vicini lasciano il Pdl per costituire gruppi autonomi e un altro soggetto politico alleato, sbaglia di grosso». Poi, il fedelissimo di Fini coniava addirittura un nuovo termine, «coabitazione normata», per descrivere il rapporto ideale tra Silvio e Gianfranco. Tesi, questa, smontata dal pidiellino Osvaldo Napoli: «Mi chiedo che cosa c’entri con la politica la “convivenza normata”. A parte l’orrore lessicale che suscita quell’espressione, ma davvero il massimo delle proposte per ritrovare un asse di equilibrio nel Pdl è tutto lì?». Un dialogo tra sordi e l’ora degli addii sembra essere arrivata anche se, come ha riconosciuto lo stesso Napoli, «i finiani hanno bisogno di stare nel Pdl come l’aria».
Che fare, quindi? La strada sarebbe quella di render loro la vita più difficile che mai, metterli con le spalle al muro, giocare all’attacco, finirla di farsi condizionare dai loro mugugni. Insomma, tenere duro e far votare all’interno del partito la linea da tenere su qualsiasi provvedimento futuro senza cedere di un millimetro: questa è la rotta, chi non è d’accordo è fuori dal partito. Basta arretrare, correggere, smussare, limare. O così o votate contro. In questo modo Fini sarebbe costretto a ingoiare un bel po’ di bocconi amari e non è detto che alla fine il suo stomaco riesca a digerire tutto. Quando non ce la farà più sarà obbligato a dire «stop», me ne vado. Ecco la strategia: provocare l’addio.
E poi c’è un’altra ipotesi, seducente, teorica, ma forse non troppo campata per aria. Un coup de théâtre berlusconianissimo: Fini non vuole andarsene? Allora me ne vado io. Berlusconi potrebbe lasciare all’ex amico il Pdl, il simbolo, il contenitore e fondare un nuovo partito. Fare una sorta di gruppone autonomo dove, chiaramente, non sarebbero invitati le Perina, i Briguglio, i Bocchino, i Granata e compagnia bella. Una sorta di «predellino 2» nato dalle ceneri di un’esperienza andata male per colpa dell’ennesimo politicante della Prima Repubblica.
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