Oggi al Museo d’Arte Contemporanea di Roma (MACRO) l’enciclopedia Treccani finisce sottolio per iniziativa di Benedetto Marcucci. I 54 volumi della maggiore impresa culturale italiana sono immersi in altrettanti barattoli come fossero funghi o carciofini da conservare. L’ironica reliquia assume un significato speciale in questi giorni in cui i lavoratori dell’Istituto sono in sciopero a causa di una intervista rilasciata da Giuliano Amato. Il presidente aveva infatti annunciato una nuova strategia per far fronte alla concorrenza di Wikipedia, l’enciclopedia on line gratuita che avrebbe causato una emorragia inarrestabile di ordini (50mila nel 2003, 26mila nel 2009, 15mila fino ad agosto 2010). D’altro canto i sindacati fanno notare che, pur essendo la questione di assoluto rilievo, manca un vero progetto editoriale, industriale e di riassetto dell’azienda.
Nel frattempo c’è subbuglio anche nella redazione del Dizionario biografico degli italiani, l’opera senza fine alla cui testa è arrivato lo storico Raffaele Romanelli. Anche in questo caso, si teme l’affondamento dell’opera.
La polemica, con varianti minime, esplode ciclicamente all’incirca in questo periodo, l’ultima volta tenne banco per parecchie settimane a partire dall’ottobre 2009. Inevitabile. I colossi di carta, con i relativi costi, non possono più competere con la pur scadente e taroccabile Wikipedia, un sito da 60 milioni di accessi al giorno, 700mila voci solo nella sezione in lingua italiana, alcuni milioni in quella inglese. Amato vorrebbe pubblicare su carta solo le opere che vendono (i libri di pregio) e utilizzare i ricavi per finanziare il progetto sul web. Un modello di business praticabile? Forse vale la pena di provare, visto che, salvo inversioni di tendenza, l’Enciclopedia rischia di trovarsi senza nuovi clienti. C’è poi un altro motivo: Wikipedia non è attendibile, come altre volte abbiamo raccontato ai nostri lettori. La Treccani ha quindi qualcosa da offrire e su cui puntare: la qualità indiscutibile.
Mentre l’enciclopedia va sottolio, l’opera lirica viene impagliata da Guido Ceronetti sulla Stampa di ieri. Lo scrittore sostiene che il melodramma «ha concluso il suo arco a metà del secolo scorso; destinata a perdersi, è ormai un puro evento d’obbligo ma di scarso significato». Insomma, il cartellone della Scala, pur bellissimo, è «un animale impagliato», per altro come quello degli altri teatri. Tanto varrebbe chiuderli, o impiegarli con meno parsimonia, ospitando spettacoli diversi. L’Opera, prosegue Ceronetti, non comunica più, quindi «il suo illanguidimento progressivo è inevitabile». I libretti sono così «imbecilli» da «stuprare» la musica, «per poter tollerare Traviata bisogna non sapere nulla della trama, essere giapponesi o kazaki digiuni completamente di locuzioni italiane».
La Treccani e l’Opera, e domani i Festival del Cinema: poco a poco crollano i tabù, travolti dal tempo, dal web e da nuovi generi di intrattenimento. Adeguarsi o morire?
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