Tredici indagati per il racket dei cuccioli di cane

Avrebbero dovuto provvedere a loro, curarli e darli in adozione a persone fidate e capaci di accudirli al meglio. Invece, pur di guadagnare un po’ di soldi, non avrebbero esitato a maltrattare decine di cuccioli di cane e gatto, custodendoli in condizioni di degrado all’interno di canili gestiti abusivamente, in barba alle norme in materia. Nessuna registrazione all’anagrafe canina, per loro. Piuttosto c’erano sempre stand espositivi pronti ad ospitarli per incentivare le offerte in denaro di gente intenerita da quegli animaletti in cerca di padrone. Un vero e proprio racket di cuccioli quello scoperto dal pm Giuseppe Corasaniti, che al termine di una lunga indagine sta per chiedere il rinvio a giudizio di 13 persone. Gravi le accuse ipotizzate nei confronti degli indagati, tra cui quelle di associazione a delinquere, truffa e falso.
Nel mirino della magistratura l’associazione Mondocane, attestata falsamente presso la Regione per ottenere l’iscrizione al registro delle organizzazioni di volontariato e così accedere ai previsti finanziamenti regionali. I cuccioli, secondo l’accusa, venivano gestiti al solo scopo di guadagnare denaro e per questo venivano fatti anche riprodurre in modo incontrollato. Anche le adozioni avvenivano senza alcuna verifica della destinazione dell’animale, senza libretto sanitario e vaccinazioni preventive. La maggior parte delle volte i cuccioli, custoditi in strutture che sembravano più lager che canili, arrivavano a casa dei nuovi padroni talmente debilitati che morivano nel giro di pochi giorni. Ai cani presenti nelle strutture sotto accusa venivano assegnati sempre gli stessi libretti sanitari, mano a mano che gli animali decedevano. La raccolta di donazioni veniva effettuata per lo più nelle vie di Roma, in provincia di Civitella S. Paolo invece l’associazione gestiva un canile con una quarantina di animali «ospitati in box di travi e assi di legno con pareti di rete metallica e copertura di onduline ma senza pavimentazione, per cui i cani si trovavano a vivere sulla nuda terra a contatto con le feci, le acque piovane e le urine». «All’interno di alcuni box - scrive ancora il pm - non erano presenti cucce o ripari per la notte o per il freddo». A dir poco inadeguata anche la struttura di Pescorocchiano (Rieti), dove i cani erano costretti a vivere a contatto con il terreno umido. Le cucce non bastavano per tutti e i recinti erano sporchissimi. Poca l’acqua a disposizione, di cibo neppure l’ombra.

Nell’avviso di chiusura delle indagini il pm elenca i nomi dei dodici cani morti in seguito al trattamento subito. Viene citato anche il nome di una signora costretta ad elargire donazioni in denaro per realizzare migliorie nei canili in realtà mai effettuate.

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