Roberto Fabbri
Unora e mezza di consulto sul tema delicato del cambiamento di tattica in Irak, dove il crescente numero di vittime tra i soldati americani ha recentemente spinto il presidente a non respingere un imbarazzante paragone con la guerra del Vietnam. Dopo mezzora a quattrocchi nello Studio Ovale con il generale John Abizaid, responsabile dei diversi fronti di guerra al terrorismo, George W. Bush ha riunito i suoi consiglieri nella Roosevelt Room della Casa Bianca: oltre allo stesso Abizaid cerano il segretario alla Difesa Donald Rumsfeld, il consigliere per la sicurezza nazionale Steve Hadley e il capo di stato maggiore della Difesa degli Stati Uniti, generale Peter Pace. In videoconferenza partecipavano il vicepresidente Dick Cheney e, da Bagdad, lambasciatore Usa in Irak Zalmay Khalilzad e il comandante del contingente multinazionale in Irak, generale George Casey.
Un simile schieramento di pezzi grossi non è certo stato scomodato per nulla, ma al termine del consulto la Casa Bianca ha scelto di parlare di «riunione di routine». Ma il New York Times dispone di indiscrezioni secondo cui Bush sta preparando un piano da presentare entro la fine dellanno al primo ministro iracheno Nouri al-Maliki che contiene obiettivi e tempistiche precise per il loro raggiungimento, alle quali il governo di Bagdad dovrà attenersi nel processo di messa in sicurezza del Paese. Tra queste figura anche il disarmo delle milizie ribelli. Nonostante la Casa Bianca non intenda indicare ad al-Maliki alcuna scadenza per il ritiro delle forze armate americane, secondo gli esperti la mancata realizzazione degli obiettivi richiesti spingerebbe il presidente americano a considerare drastici cambi nella propria strategia militare e ad applicare altre forme di penalizzazione nei confronti del governo iracheno.Bush ha comunque chiarito nel suo discorso radiofonico agli americani che la strategia non cambierà: le truppe Usa resteranno in Irak e sugli altri fronti della lotta al terrorismo «fino al compimento della missione».
Mentre Bush confermava lintenzione americana di agire per trasformare lIrak in un solido bastione della democrazia in Medio Oriente, un terribile fatto di sangue ricordava che molta strada resta ancora da fare. Nella cittadina irachena di Al Qaim, poco distante dal confine siriano, una giovane donna di 22 anni, veniva lapidata sulla pubblica piazza da seguaci di Al Qaida dopo un processo conclusosi con la condanna a morte per adulterio. Un episodio di bestiale violenza, che nella sostanza consiste nelluccisione a colpi di pietra della vittima, la quale viene semisepolta nella terra lasciando emergere solo il busto. I carnefici sono di solito un magistrato e i rappresentanti della parte lesa, anche donne. Tra un lancio di pietre e l'altro devono essere recitati versetti coranici. Da notare che per i condannati esiste una possibilità di scampo se riescono a divincolarsi: ma anche qui la legge islamica si dimostra iniqua verso le donne, che vengono interrate fino alle ascelle, mentre gli adulteri uomini solo fino alla cintola.
È stata comunque una giornata sanguinosa in Irak, dove terroristi hanno lanciato colpi di mortaio su un affollato mercato della città di Mahmudiya, nel famigerato triangolo della morte: 30 le persone uccise, 50 i feriti.
Nelle stesse ore, a La Mecca in Arabia Saudita, ventinove dignitari sciiti e sunniti iracheni si sono incontrati e hanno sottoscritto un documento comune nel quale si chiede di porre fine «al fiume di sangue musulmano che scorre in Irak». Erano assenti due dei più noti leader religiosi del Paese: layatollah sciita Al Sistani, che ha però fatto sapere che condivide gli intenti della riunione, e lestremista sciita Moktada al Sadr.
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