Politica

La triste agonia di Rosetta e Antonio, in attesa di sapere chi governerà il Pd

Continuano ad andare deserte le sedute al Comune di Napoli, e tra pochi giorni si vota la manovra per ripianare il bilancio. Le fazioni all'interno del Partito democratico aspettano di salure sul carro del vincitore e si disinteressano dei problemi della città

E' durata quanto la calura estiva, la tregua nella giunta di Palazzo San Giacomo a Napoli. La maggioranza di centrosinistra che sostiene la sindaco Rosetta Russo Jervolino è ormai a pezzi, proprio alla vigilia dell'approvazione della manovra di riequilibrio di bilancio. Sedute saltate addirittura per mancanza di numero legale, rapporti tesi tra assessori e consiglieri, disinteresse generalizzato se non proprio disaffezione e voglia di buttare tutto all'aria: l'agonia del "Rinascimento bassoliniano" (così fu chiamato) è lunga e assai mesta.
A provocare la crisi sotterranea - una malattia che si trascina da anni - è stato proprio il progressivo sgretolamento del patto di potere che ha retto a Napoli e in Campania tra le due "gens" cittadine: quella che ha fatto capo a don Antonio Bassolino e quella che risaliva al vecchio sistema di potere democristiano (con De Mita a lungo dominus). Ovviamente, si trattava di un patto tra "élite" (si fa per dire) politiche e imprenditoriali, essendosi ormai sgretolatosi il tessuto cittadino: con la borghesia risucchiata verso il basso, la plebe tornata plebe, e una cultura diffusa che definire camorristica è dir poco.
L'illusione bassoliniana era che la città, "partendo dal basso" risorgesse: mai forma retorica fu più pericolosa nelle premesse e devastante nei fatti. A parte i primissimi anni del regno di Bassolino al Comune, il "sistema" si è perpetuato prima come il classico "vicereame" e poi, via via, come baronia, anarchia e (oggi) lotta di piccoli "ras" contro piccoli "ras". L'incuria del "sistema" sommato alla debolezza della persona (perbene ma incapace) chiamata a reggere la città, Rosetta Jervolino, è la miscela che rende la situazione ingovernabile già da prima della famosa "emergenza rifiuti".
Se tra un paio di giorni andasse deserta persino la seduta per approvare il piano di ripianamento del bilancio, la crisi sarebbe aperta ufficialmente e crescerebbe a dismisura la voglia - già fortissima - di portare al voto anche il Comune assieme alla Regione, nella prossima primavera, e ribaltare del tutto il sistema di alleanze. L'ipotesi è più che verosimile, anche se tutto dipenderà dal congresso del Pd, l'11 ottobre. Il Partito in città vive i tormenti della fase precongressuale e soltanto quando si conosceranno i nuovi equilibri, i "leoni" demodiessini sapranno come schierarsi (dalla parte del vincitore, ovvio). In aggiunta alla fine del bassolinismo, la sinistra radicale resta per fortuna in agguato, e la Iervolino sempre più regina travicella. Se all'inizio del mandato poteva contare su 39 consiglieri (più il suo voto, quaranta) oggi arriva a stento a poter contare su 33. La sindaco sembra ormai depressa, e si rifugia nelle sua bravura nelle frasi fatte: "Quello che mi preoccupa è l'indifferenza - ha spiegato l'altro giorno all'uscita dell'aula di via Verdi dopo l'ennesima seduta andata deserta-. La città ha bisogno di entusiasmo e voglia di fare, non di indifferenza e non è un problema di colore politico". In aula erano presenti solo 28 consiglieri e il minimo legale per ritenere valida la seduta è 31. Assenti gli esponenti del Pd Mariano Anniciello ed Emilio Montemarano, Salvatore Parisi di Sinistra Democratica e Achille De Simone e Carlo Migliaccio del gruppo misto.
Oltre a chi ce l'ha con il sindaco, le diserzioni si spiegano appunto con il marasma che c'è all'interno del Pd, acuito dal fatto che in Regione Bassolino ha rotto l'alleanza con gli ex margheritini che fanno capo ad Angelo Montemarano (ex assessore alla Sanità). Il Pd in Comune ha perso molti pezzi: sono andati via Roberto De Masi, Carmine Simeone, Francesco Moxedano e Salvatore Galiero. Ormai i bassoliniani non sono più la maggioranza, e non hanno ancora deciso con chi schierarsi. Più compatto sembra il gruppo Montemarano capitanato da Emilio Montemarano (figlio di Angelo): Pasquale Sannino, Vito Lupo, Diego Venanzoni, Saverio Cilenti, Pietro Mastranzo ed Enzo Russo. Emilio Di Marzio e Leonardo Impegno stanno con l'ex ministro Luigi Nicolais. Gianni Palladino è rutelliano e Fabio Benincasa, il capogruppo, è uomo della senatrice Teresa Armato. I bassoliniani contano su Antonio Borriello, Salvatore Guerriero, Gennaro Centanni e Mariano Anniciello. Battitori liberi Francesco Nicodemo e Franco Verde. Nel tutti contro tutti, i veti incrociati paralizzano l'attività: importanti delibere, come la riforma dei vigili urbani, l'anagrafe degli eletti, la razionalizzazione delle partecipate, non vengono neppure esaminate, per paura di potersi contare e schierare.

Peggio di così, per Bassolino e compagni, non poteva finire.

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