Le troppe gaffe di un ministro primo della classe

È come una brutta abitudine: non bisogna correre il rischio di abituarcisi. Sono così le «gaffe» del ministro degli Esteri Massimo D'Alema, talmente numerose che si finisce quasi per farci il callo. Frasi in libertà, pronunciate con il cipiglio del primo della classe e la disinvoltura di quello che in vita sua ne ha viste più di tutti: frasi irrimediabilmente destinate a tornare indietro come boomerang. Il suo terreno preferito è il Medio Oriente, terreno scivolosissimo, sul quale il capo della nostra diplomazia pattina felice da anni. Era il 2004 quando, durante una visita nei Paesi arabi forse preparatoria al futuro insediamento alla Farnesina, definì Israele «un Paese aggressore, che tende a confinare i palestinesi in una riserva indiana».
Il problema, una volta diventato ministro e vicepremier, è che a ogni pié sospinto gli tocca smentire, rettificare, precisare, correggere e soprattutto piantare il dito accusatore in faccia ai giornalisti, che come al solito non hanno capito nulla delle sue parole ispirate. Ieri è accaduto due volte. D'Alema ha dovuto argomentare meglio le sue affermazioni sulla pace in Libano che avevano fatto saltare i nervi al leader druso Walid Jumblatt, leader del partito socialista progressista libanese. E poi ha provocato l'irritazione nella diplomazia americana guidata da «Condi» Rice per aver definito «irrituale e fonte di un certo turbamento» il negoziato bilaterale tra Stati Uniti e alcuni Paesi europei sull'installazione dello scudo spaziale antimissili in Polonia e Repubblica Ceca.
L'anno scorso fu segnato dalla sciagurata passeggiata a braccetto con il deputato di Hezbollah Hussein Haji Hassan in una Beirut bombardata da Israele: solidarietà ai terroristi del partito armato libanese e non una parola su Israele colpito dai missili di Hezbollah. In novembre, dopo un attacco israeliano nella striscia di Gaza che aveva provocato 18 morti, in un'intervista a l'Unità disse che «quanto è accaduto a Beit Hanun è il tragico sbocco di una politica che fonda la sicurezza sull'uso estremo della forza. C'è chi di fronte a questa tragedia parla di errori»: come dire che la strage era voluta. Ed era stato il premier Ehud Olmert a parlare di «un errore tecnico dell'artiglieria». «Il miracolo di D'Alema è di aver compattato la comunità ebraica italiana», ha scritto il mensile ebraico Shalom: nessuno c'era mai riuscito.
Il ministro è arrivato a ritenere «legittima la volontà dell'Iran di utilizzare l'energia nucleare se è destinata a scopi pacifici». Ma è su Hamas e Hezbollah che D'Alema offre il meglio, con effetti catastrofici. In un'intervista al Corriere disse che i due movimenti hanno anche «snodi politici che si occupano di assistenza. L'Ira e l'Eta da gruppi terroristici sono diventati movimenti politici. Dobbiamo incoraggiare questa metamorfosi in Medio Oriente».

A Madrid scoppiò il finimondo: la stampa spagnola definì «più che sfortunate» le dichiarazioni del ministro, costretto dall'ambasciata spagnola a Roma a un successivo «chiarimento» assai imbarazzato. Il quotidiano El Mundo scrisse che «la disinformazione di D'Alema risulta scioccante».

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