Troppe lentezze nei momenti di gloria di Pietri

Dorando e Pericle si contendono il primato nella corsa e le grazie di Luciana. Sono le rivalità di paese che appassionavano l’Italia del secolo scorso. Donne e sport, ingredienti perfetti per un grande racconto. Se poi Dorando Pietri, fumantino giovanotto di Carpi ha l’aria ispirata di Luigi Lo Cascio, lo strafottente meridionale Pericle Rondinella ha il fisico di Fabio Fulco e la bella e disinibita del posto ha gli occhi cerulei di Laura Chiatti, le premesse per un buon melodramma ci sono tutte. Le mantengono anche una certa cura dei particolari, lo scenario della pianura emiliana, la fotografia seppiata, i titoli di testa con l’autopresentazione di personaggi e interpreti. Alcuni dei quali perfettamente in palla come il burbero allenatore Ottavio Bulgarelli (Alessandro Haber), Barbisio ruvido patron della società sportiva Vigor (Pippo Delbono) e lo stesso protagonisti.
Dorando Pietri. Il sogno del maratoneta (Raiuno, domenica e lunedì, ore 21,30) tratto dall’omonimo libro di Giuseppe Pederiali, diretto da Leone Pompucci per la Casanova di Luca Barbareschi, poco premiato dall’Auditel (attorno al 15 per cento), ha dunque qualche pregio di confezione e recitazione. I momenti di gloria di Pietri sono narrati con il tocco nostalgico di Pupi Avati. Il padre lo contrasta, la madre lo asseconda, l’allenatore lo forgia, il re lo finanzia, e lui, tra una corsa e l’altra, sbanda tra Luciana, collega nella fabbrica di cappelli, e Teresa la pasticcera. Finalmente, luglio 1908, si va alle Olimpiadi di Londra dove si consuma lo scandalo che segnerà la storia di Pietri e l’iconografia della maratona mondiale. Dorando arriva stremato sul traguardo che taglia per primo grazie a un giudice pietoso che lo rimette in piedi dopo l’ennesima caduta. Ma il ricorso degli americani fa scattare la squalifica e il premio di consolazione della regina. Al ritorno in patria Pietri riceve l’invito accompagnato da fior d’ingaggio per disputare la rivincita al Madison Square Garden di New York, dove rispunta Luciana.

Ma qui il racconto si sfilaccia, perde pathos e precisione, infarcito di troppa musica. E quella che nella prima parte era una narrazione rarefatta come la campagna emiliana, alla fine rallenta in troppi vuoti narrativi.

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