Troppi boss liberi, i clan insanguinano la Puglia

Sabato sera l’ennesimo delitto. A cadere sotto i colpi dei sicari Antonio Bernardo, uno dei padrini storici

da Foggia

La lunga scia di sangue che ha macchiato la città negli ultimi cinque giorni annuncia l’ultima guerra di mafia che si è abbattuta su Foggia. Sabato notte l’ennesima esecuzione: Antonio Bernardo, fulminato sulla sua «city car» da una gragnuola di proiettili di proiettili. Un vero boss, arrestato nel giugno 2002 nell’ambito del blitz Double Edge e nel dicembre del 2003 nell’ambito di una inchiesta su commistioni tra mafia e appalti. Il timore è che sia solo l’inizio, che si tratti delle prime scosse del terremoto all’interno della cosiddetta «società», la mafia di Capitanata, una delle più pericolose e agguerrite organizzazioni di Puglia che - secondo i dossier di Viminale, Dia e Servizi segreti - attraversa una fase delicata caratterizzata da un vuoto di potere. E proprio l’assenza di leadership e il tramonto dei vecchi boss avrebbero dato spazio al tentativo di scalata da parte di frange emergenti decise a conquistare il controllo degli affari illeciti gestiti: dal traffico di droga al racket delle estorsioni imposto anche sulle pompe funebri.
«Ne siamo certi, ci saranno risposte di gruppi criminali ai fatti degli ultimi giorni», ammonisce il capo della squadra mobile, Antonio Caricato. Il quale dice chiaro e tondo che le cosche si affrontano «incuranti del contesto», e lancia l’allarme scarcerazioni: «Sono in libertà alcuni elementi di spicco dei clan, come Claudio Russo». Proprio quest’ultimo è sfuggito a un agguato martedì scorso, quando i killer hanno aperto il fuoco ferendo per errore due ragazzine. Poche ore prima dell’omicidio di Bernardo alla periferia della città due sicari a bordo di una moto avevano sparato all’impazzata tra i passanti. Il vero obiettivo dei killer era il pregiudicato Angelo Bruno, rimasto ferito a una gamba, ma le pallottole hanno raggiunto anche un uomo di 70 anni che invece si trovava lì per caso.
Antonio Bernardo, 61 anni, il boss che secondo quanto emerso dalle indagini, più volte era riuscito a tenere insieme le varie fazioni della «società», è stato invece meno fortunato. Era alla guida di una Smart quando è stato affiancato da una Lancia Dedra con i due killer, che hanno sparato sei colpi di pistola calibro 9: per lui non c’è stato niente da fare, una vera e propria esecuzione per eliminare il sostenitore della linea del dialogo tra i gruppi che si spartiscono il controllo del territorio e degli affari. Proprio per questa ragione, gli investigatori sospettano che dietro questo terremoto malavitoso ci sia un tentativo di scalata, l’offensiva di un gruppo deciso a imbracciare le armi per approfittare di un vuoto di potere. Uno scenario frastagliato, così come del resto viene fuori dalla relazione del Viminale sulla criminalità pugliese. «La presenza di una pluralità di consorterie – si legge nel dossier – la loro spiccata capacità di adattamento e la vocazione dei sodalizi a intessere legami di diversa natura con esponenti criminali di altre regioni o stranieri determinano una situazione “fluida” dove i rapporti sono quasi sempre conflittuali».

Nel rapporto si sottolinea come vi siano «continui ricambi nella leadership» e a questo proposito in una relazione di investigatori e servizi segreti è spiegato chiaramente che «è ipotizzabile un’evoluzione delle dinamiche criminali delle diverse consorterie a causa della costante conflittualità determinata dall’assenza di leader capaci di coagulare interno a sé le varie spinte criminogene».

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