«Troppi i Paesi ancora nemici dei diritti civili»

Margherita Boniver, fondatrice di Amnesty international Italia: «Milioni di persone sono private delle più elementari libertà»

Margherita Boniver combatte. Ha cominciato presto, prima di Amnesty, delle battaglie contro la pena di morte, contro i regimi di tutto il mondo, prima di entrare in Parlamento, e poi nel governo come sottosegretario agli Esteri. Oggi non ha smesso. Continua a far capire all’Italia, all’Europa e al mondo che non bisogna mollare. Nel nome dei diritti civili, della libertà di uomini, donne e bambini.
Onorevole Boniver, a quante persone nel mondo vengono negati i diritti fondamentali?
«A più di quanti si pensi. C’è un numero impressionante di Paesi dove la tortura è pratica quotidiana e dove c’è la pena di morte: è un’enorme massa di persone che non ha diritti, non ne ha mai avuti o non sa che possano esistere».
E nei Paesi islamici?
«In alcuni Paesi dove viene applicata la sharia come legge statale, la giustizia non esiste. E se esiste magari si accanisce sulle vittime. Penso alla Nigeria o all’Afghanistan, dove le donne sono considerate meno di niente e vivono il Medioevo. Allora capita che se subiscono una violenza, la giustizia prevede che il suo carnefice non venga imputato. L’unico tipo di risarcimento che ottiene è la concessione alla sua famiglia, offesa dallo stupro, di due vergini che spesso diventano schiave: sessuali per gli uomini, oppure schiave per la casa della famiglia oltraggiata. È un’interpretazione estrema del Profeta Maometto».
Quali sono i Paesi dove si soffre di più?
«È una scelta difficile. Non è possibile fare una classifica, comunque sono molti. Cina e Vietnam dove non c’è proporzione tra reati e pene: si può morire per niente. Lo stesso discorso vale per altri Paesi, come l’Iran, dove si vedono impiccagioni lungo le strade, dove spesso la libertà viene oppressa. Compresa quella di opinione e di stampa».
Quale, invece, il Paese più libero?
«Anche qui è complicato. Ma voglio fare un esempio: la civilissima, democraticissima, liberissima Danimarca, dove alcune vignette (che non facevano ridere ed erano bruttissime) sono state giudicate blasfeme e non sono bastate le scuse del piccolo quotidiano di estrema destra che le ha pubblicate. Sono state prese come pretesto dall’estremismo islamista per creare disordini in tutto il mondo».
Per lei qual è il peggiore dei soprusi?
«Quello che mette in pericolo l’esistenza di un essere umano. Spesso coincide con la presenza di una dittatura che rende schiava la popolazione. Schiava della ricerca di cibo e di forme di sostentamento».
La mancanza di libertà, spesso riguarda anche la religione. In alcuni Paesi islamici è vietato professare un altro culto. Si parla di convivenza e di integrazione come via di uscita. Ma come funziona l’integrazione? Con il benessere?
«Non sempre. In Italia il caso di integrazione riuscita è a Mazara Del Vallo, che non mi sembra il posto più florido del Paese. E poi abbiamo visto il caso inglese. Per l’Europa il modello di integrazione inglese è sempre stato un punto di riferimento per gli altri Paesi: univa prosperità e tolleranza. Abbiamo pensato che quella fosse la strada, invece è arrivata la mostruosità dei kamikaze di origine pachistana, ma di nazionalità inglese - nati e cresciuti in Inghilterra -, farsi saltare in aria per uccidere decine di persone».
Ma chi crea ostacoli alla libertà?
«I governi, i regimi, spesso anche alcuni strani episodi. Nel periodo in cui si parlava della fondazione di Amnesty international in Italia ricevemmo aiuti da molti partiti del centrosinistra (Psi e Dc), mentre l’allora Pci ci creò qualche difficoltà perché non voleva che venissero fuori le repressioni dei gulag sovietici».
Sui diritti negati c’è ancora silenzio?
«Ce n’è di meno di qualche tempo fa.

Prendo il caso Darfur, dove il nuovo governo arabeggiante del Sudan da tre anni sta massacrando migliaia di persone. La comunità internazionale s’è mobilitata contro il genocidio e oggi in Darfur c’è un contingente militare».
Un giorno gli uomini saranno tutti liberi?
«Sì. La democrazia è contagiosa».

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