Cultura e Spettacoli

Troppi libri? A volte è meglio un reality show

Per iniziare, qualche cifra: la razza umana, oggi, pubblica un libro ogni trenta secondi. Supponendo un prezzo medio di 30 dollari a libro e uno spessore di due centimetri a volume, occorrerebbero 30 milioni di dollari e 25 chilometri di mensole solo per aggiornare annualmente la propria biblioteca. Ancora: si calcola che per scorrere l’elenco di tutti i libri stampati, dalla Bibbia di Gutenberg alle ultime novità, ci vogliono 15 anni. E per finire: anche se a partire da questo momento non venisse pubblicato più alcun libro, e ipotizzando che una persona possa leggere quattro libri la settimana (duecento l’anno, diecimila in mezzo secolo), ci vorrebbero comunque 250mila anni per arrivare a conoscere i libri già scritti. Aveva già capito tutto, 2200 anni fa, l’anonimo autore del Qoèlet: «...i libri si moltiplicano senza fine, ma il molto studio affatica il corpo». A prima vista, il pamphlet del messicano Gabriel Zaid I troppi libri. Leggere e pubblicare in un’epoca di «abbondanza» (Jaca Book) sembrerebbe o un controsenso (perché a nessuno sfugge la contraddizione di scrivere un libro sull’eccessiva presenza di libri nelle nostre vite) o un fastidioso déjà-vu (perché a tutti è già capitato per le mani un libro che deplora una situazione nella quale le parole scritte superano - e di troppo - quelle lette). In realtà il saggio di Zaid - che consigliamo a tutti coloro i quali appena entrati in una libreria avvertono un sudore diaccio lungo la schiena - è un libro utile. È vero, da una parte non è che l’ulteriore analisi dell’esorbitante produzione editoriale, della trasformazione del libro in una merce il cui obiettivo non è più trasmettere un orizzonte di pensiero ma produrre profitto, dei mega-store pieni di novità ma con pochissimi titoli «di catalogo», dei best seller ammazzatutto... Ma il libro di Zaid è qualcosa di più, qualcosa di consolante. Nient’altro che buon senso comune, dirà qualcuno, ma consolante. Innanzitutto perché ci tranquillizza, ancora una volta, sul futuro dell’oggetto libro: nonostante la diffusione di cd, dvd, e-book, sistemi print-on-demand... la tecnologia digitale è destinata a integrare, ma non a sostituire, il libro stampato. Al pari del fuoco, della ruota e dell’alfabeto, il libro è un’«invenzione» insuperabile, come dimostra l’incremento esponenziale delle pubblicazioni dalla metà del Cinquecento (500 titoli) al periodo 1950-2000 (36 milioni): l’uomo non ha mai prodotto uno strumento più economico per rivolgersi a così tante persone nello spazio e nel tempo. Poi, perché Zaid ci allevia la coscienza ogni volta che acquistiamo un libro destinato a rimanere intonso sugli scaffali di casa: «La vera persona colta è in grado di possedere migliaia di libri non letti senza perdere la propria compostezza e il desiderio di averne altri ancora \. Forse la misura della nostra lettura dovrebbe essere non il numero di libri che abbiamo letto, bensì lo stato in cui ci lasciano». Infine, perché questo anomalo intellettuale riesce a convincerci, ancora una volta, che la cultura è una conversazione e che scrivere, leggere, stampare, recensire «alimentano questa conversazione e la tengono viva». Pubblicare un libro equivale a inserirlo in questo circolo virtuoso: «Una conversazione che sorge, come dovrebbe essere, dal dibattito locale, ma che si apre, come dovrebbe essere, a ogni luogo e a ogni tempo». Se c’è un punto, invece, su cui rimane qualche dubbio, è l’implicita bontà che l’autore sembra attribuire a ogni libro. A noi invece sembra che ormai molti, troppi libri, entrano in questa comunicazione come una chiacchiera inutile, fastidiosa e fuori luogo. E non ci sentiamo di affermare (come a volte accade di sentire) che un libro mediocre è sempre meglio di un reality show o di un rave party.

Per la cronaca, Gabriel Zaid - poeta e saggista di critica culturale - vive a Città del Messico con l’artista Basia Batorska, tre gatti e 10mila volumi.

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