Trovare acqua sul corpo celeste È la nuova parola d’ordine

Occhi puntati sulla Luna in questi giorni. E non solo per ricordare la missione Apollo 11, che giusto quaranta anni fa (era il luglio del 1969) portava per la prima volta degli esseri umani a mettere piede sul nostro satellite naturale, ma anche e soprattutto grazie a due missioni della Nasa, le prime a raggiungere la Luna (senza astronauti, ovviamente) dopo dieci anni, chiamate Lcross (Luna crater observation and sensing satellite) e Lro (Lunar reconnaissance orbiter). A loro spetta, tra l’altro, il compito di risolvere uno dei grandi punti interrogativi che ci restano sulla Luna, che per il resto è tutto sommato il corpo celeste che conosciamo meglio. Ovvero, c’è acqua lassù? I campioni di roccia lunare raccolti dalle varie missioni Apollo si sono rivelati completamente privi di acqua. D’altronde, come potrebbe essercene, in assenza di atmosfera, nelle zone battute dalla luce solare? Questo di per sé non significa, però, che nei profondi crateri presenti presso le zone polari della Luna, dove il Sole non batte ormai da miliardi di anni, non possa essere rimasta dell’acqua in forma di ghiaccio. Perché tanto interesse per l’eventuale acqua lunare? Perché se ci fosse, potrebbe facilitare la futura costruzione di colonie lunari. Non solo perché quell’acqua si potrebbe bere o usare per coltivare piante.

Ma anche in quanto potrebbe essere scissa in idrogeno e ossigeno da usare come propellente dei velivoli spaziali, alleggerendo così il carico che una missione lunare dovrebbe portare con sé in previsione del viaggio di ritorno o di un nuovo decollo verso mete più lontane. Così sarebbe più facile pensare di usare la Luna come base intermedia da cui lanciare missioni, per esempio, verso Marte.

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