Truffa, corruzione e appalti truccati: ora il Pd abruzzese si ritrova assediato

Inquisito il segretario regionale con altri amministratori. E un Comune è stato decapitato

nostro inviato a Pescara

La Tangentopoli del Pd abruzzese si allarga ad altre inchieste e situazioni imbarazzanti. Come quella del segretario regionale del Pd nonché sindaco di Pescara, Luciano D'Alfonso, che ha da poco ricevuto più d'un avviso di garanzia per corruzione, concussione, truffa aggravata e falso ideologico nell'ambito di diverse inchieste che a maggio hanno portato in carcere anche il suo braccio destro, Guido Dezio. Stando all'atto d'accusa, D'Alfonso, tra il 2006 e il 2007, avrebbe chiesto denaro a una quindicina di imprese in cambio di atti amministrativi a loro favorevoli, come la proroga di contratti d'appalto. Nel mirino della magistratura anche i fondi per la cosiddetta pubblicità istituzionale, distratti per fini personali ed elettorali. Ipotesi investigative corroborate da una serie di intercettazioni in cui sono confluiti discorsi, ammissioni, frasi in codice, accordi, insulti e sfuriate. Il verde pubblico a Pescara racconta – sempre in epoca D'Alfonso - di «Green connection», inchiesta con 21 comunicazioni di garanzia. Tra gli inquisiti, l'ex assessore Rudy D'Amico (Idv, cacciato dal partito a seguito di questa vicenda e sparito dallo scenario politico). La vicenda è venuta a galla nel 2006 e secondo l'accusa esisteva in città una sorta di «cartello» che gestiva gli appalti inerenti il verde, faceva minacce e usava violenza, per poi dividersi i compensi.
L'inquinamento ambientale, con falde e pozzi distrutti dai veleni, è invece al centro degli accertamenti disposti dal pm Aldo Aceto diretti al mondo politico di centrosinistra: mega depositi abusivi di rifiuti, interrati a Bussi sul Tirino, hanno generato acqua dichiarata dall'Istituto superiore di sanità «non idonea al consumo umano», ma che per decenni è stata distribuita in Val Pescara a circa 500mila cittadini. Un disastro che ha prodotto 33 avvisi di reato. Tra gli indagati, che devono rispondere a vario titolo di avvelenamento, disastro doloso, commercio di sostanze contraffatte e adulterate, delitti contro la salute pubblica, turbata libertà degli incanti e truffa, ci sono i vertici di enti collegati, tutti esponenti politici del Pd: Giorgio D'Ambrosio, Donato Di Matteo, Bruno Catena.
Di traffico di rifiuti e di Pd si parla anche in «Fangopoli», inchiesta sulla gara d'appalto e la gestione del depuratore a Pescara. Sono inquisiti in 25. Compaiono ancora Catena e D'Ambrosio. Turbativa d'asta, abuso d'ufficio, falso, frode in pubbliche forniture, truffa, trasporto e smaltimento di rifiuti in assenza di permessi: sono queste le contestazioni. Irregolarità sarebbero state riscontrate nell'affidamento dell'impianto, nella sua gestione e nei lavori di adeguamento. A corollario, un business di sostanze pericolose che da Pescara finivano nell'Aquilano e che coinvolgeva diverse ditte del settore che avrebbero trasportato e fatto sparire i fanghi della depurazione. Negli atti entrano anche somme di denaro per favori particolari e «regali» come un tappeto persiano di 1.500 euro.
Giri illeciti di denaro hanno cancellato l'amministrazione comunale di Montesilvano (Pescara), con il sindaco Enzo Cantagallo, ex Margherita e ora Pd, arrestato un anno e mezzo fa insieme con l'assessore alle Finanze ed ex primo cittadino Dc, Paolo Di Blasio, e al segretario del Comune e già indagato nell'inchiesta sulla Merker, un'azienda metalmeccanica fallita in malo modo. Nei guai, per abuso e corruzione, anche il predecessore di Cantagallo, Renzo Gallerati, in carica come sindaco dal 1995 al 2004, poi divenuto capogruppo della Margherita in Consiglio provinciale a Pescara, dov'è tuttora come Pd. Uno dei costruttori coinvolti al telefono sbotta: «Ho pagato una freca di soldi...». Per la Squadra mobile si tratta di consegne sistematiche di mazzette sotto forma di stipendio: 2.500 euro al mese.

Al termine dell'inchiesta in 37 sono rimasti imbrigliati nella rete del cosiddetto «sistema Montesilvano», come la Procura ha denominato il meccanismo messo in piedi dagli amministratori pubblici della quinta città d'Abruzzo - quasi 50mila abitanti - per spillare soldi ai costruttori.
(ha collaborato Serena Giannico)

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