Trulli appiedato. Era l’ultimo E la F1 non parla più italiano

Trulli appiedato. Era l’ultimo E la F1 non parla più italiano

Italiani appiedati. Non è lo slogan per una domenica in città senza auto e nemmeno la conseguenza dell’insostenibile caro benzina. È solo l’ufficializzazione che dopo oltre quarant’anni, l’ultima volta nel 1969, l’Italia non avrà nessun pilota protagonista nel Mondiale di Formula 1. Jarno Trulli l’ultimo rimasto fino a ieri in pista, impegnato anche nei primi test del 2012, non sarà al via della nuova stagione. Infatti il team Caterham ha annunciato di aver risolto il contratto con l’abruzzese per far posto a Vitaly Petrov.
Così l’Italia è stata azzerata, non per questioni di talento, ma solo per i soldi degli sponsor che a volte, nelle squadre minori, vengono chiesti per correre. E in questo momento non c’è storia per i piloti tricolori che devono fare i conti con la recessione. Così poche settimane fa Vitantonio Liuzzi non ha potuto nulla contro le vagonate di Rupie, la moneta indiana, che Narain Karthikeyan ha portato in dote all’Hrt. Lo stesso vale per Trulli che ha dovuto incassare il sorpasso di Petrov a suon di rubli russi, circa sei-sette milioni al cambio in euro, coi quali dà ossigeno alla scuderia anglo-inglese. Non lo nasconde nel comunicato la Caterham: «Abbiamo fatto questo cambio con un occhio al mercato globale». E fa niente che Jarno nel 2011 avesse centrato il miglior piazzamento della scuderia in Australia proprio dove il 18 marzo la Formula 1 riaccenderà i motori.
Trulli se lo aspettava: «Ero consapevole che la difficile situazione economica avrebbe indotto la scuderia a trovare un pilota adeguatamente sostenuto». Non c’è spazio per i rimpianti anche se alla Renault, dove conquistò il suo unico Gp a Montecarlo, se la giocò sempre alla pari con Fernando Alonso. Piuttosto è preoccupato per il futuro dell’Italia: «Non c'è un sistema che aiuti i piloti a emergere. I talenti ci sono, ma se non sono sostenuti da nessuno, non hanno speranze». La sua entrata ai box arriva dopo quindici stagioni consecutive: «Restare senza piloti italiani è un peccato, ma altri devono prendersi la responsabilità di una situazione che non è cominciata ieri e su cui si è dormito». Basti pensare che nel 1990 ben 14 piloti azzurri presero parte al mondiale. Altri tempi, altra Formula 1.Trulli ne è consapevole: «Con questa crisi non vedo come un giovane possa trovare un aiuto». E non promette nulla di buono una recente indagine di StageUp in collaborazione con Ipsos che, analizzando le sponsorizzazioni sportive dal 2008 al 2011, ha registrato un calo del 25 per cento: da 1.147 milioni si è passati agli 856 dello scorso anno. E per questo 2012 si prevedono ulteriori tagli del 5 per cento. Con questi numeri restare a piedi è inevitabile.
E così la nostra scuola delle quattro ruote, per la verità scuola spesso trascurata in Italia, scompare dalla F1 trascinata dalla recessione. Ma non è una bocciatura perché ai piloti tricolori non vengono preferiti talenti da far sbocciare, specialità di casa Minardi in passato. Semplicemente corrono figli di papà e affini. Anche se i numeri fanno riflettere: l’ultimo a vincere il Mondiale fu Ascari nel ’53 e il trionfo in un gran premio manca dal 2006 con Fisichella in Malesia.

Intanto si consuma il paradosso di un Circus che ha la scuderia più famosa del mondo e il fornitore unico di gomme made in Italy, ma al volante non riesce a mettere nemmeno un italiano. D’altra parte lo spread corre più veloce.

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