Trump sbaraglia i gufi Nomination in tasca e pensa a un vice donna

Tutti lo davano per perdente. Ma ha superato il numero di delegati necessari prima della convention. E annuncia sorprese sulle nomine

Valeria Robecco

New York Donald Trump è ufficialmente il candidato repubblicano per la corsa alla Casa Bianca. E ora definisce addirittura «probabile» l'ipotesi di nominare una vicepresidente donna o che appartiene alle minoranze. Alla faccia di chi lo riteneva un fenomeno della politica americana destinato a morire sul nascere, a chi dopo i primi successi prediceva un suo tracollo nel Super Tuesday del 1 marzo, e a chi sosteneva che il re del mattone non avrebbe mai e poi mai ottenuto il numero sufficiente di delegati e sarebbe quindi stato silurato durante una Convention aperta. Il tycoon newyorkese, invece, ha conquistato ieri la nomination del Grand Old Party superando la soglia dei 1.237 delegati ancor prima della fine delle primarie. E soprattutto, ancor prima della rivale democratica Hillary Clinton, che nonostante sia vicinissima al successo, non riesce sino in fondo a neutralizzare il senatore socialdemocratico Bernie Sanders. Trump al contrario, grazie a un piccolo gruppo di delegati cosiddetti unbound, i superdelegati, liberi di votare per chi vogliono indipendentemente dai risultati delle primarie, è arrivato a quota 1.238, consolidando la sua posizione ed evitando lo spettro di una Convention contestata. E il numero è peraltro destinato con tutta probabilità a salire ancora, con i 303 delegati in palio nei cinque stati (California, New Jersey, Montana, New Mexico e South Dakota) dove si vota il 7 giugno.

Così, mentre l'America è sempre più divisa tra chi lo detesta e chi gli dà fiducia, il neofita della politica lascia che a parlare siano i numeri. E non solo quelli visto che ieri si è rallegrato della paura dei leader mondiali per la sua ascesa: «Se sono scossi da me è una cosa buona». E ancora su Obama: «Ha fatto un lavoro orribile, è strano che in ogni conferenza stampa parla di me». E sulla sua probabile rivale: L'email-gate ha dimostrato la sua cattiva capacità di giudizio». Ma ecco i numeri, quelli degli Stati vinti, dei voti ottenuti e dei delegati conquistati. Numeri dinanzi ai quali anche i riluttanti vertici del partito repubblicano si sono dovuti piegare. In primis lo stesso presidente Reince Preibus, che ha espresso il suo sostegno al candidato repubblicano, pur spiegando di non essere d'accordo con alcune sue idee, come quella di mettere al bando i musulmani dagli Stati Uniti. E ha invitato gli elettori a unirsi sotto un'unica bandiera, quella dell'elefante del Grand Old Party, anche se a portare il vessillo è forse il personaggio più controverso che il Gop abbia mai avuto tra le sue fila. Mentre lo speaker della Camera Paul Ryan, al contrario, ha detto di non essere ancora pronto a supportarlo. Ma questo a The Donald non interessa, come non lo preoccupano le critiche del presidente Barack Obama, il quale a margine del G7 in Giappone ha spiegato che i leader mondiali sono «scossi» da Trump per il suo comportamento «sprezzante» e per la sua «ignoranza» sui temi globali. E nemmeno gli importa degli attacchi trasversali dei media, dall'indagine del New York Times sul suo rapporto con le donne allo scoop del britannico Daily Telegraph, che parla di una evasione fiscale in merito a un'operazione controversa da 50 milioni di dollari. Trump è forte dei suoi risultati, che primaria dopo primaria gli hanno consentito di mettere al tappeto tutti i suoi avversari, dai più moderati come Marco Rubio, Jeb Bush e John Kasich, a quelli più vicini all'ala conservatrice come Ted Cruz. Non solo, poiché sta facendo tremare anche un colosso della politica come Hillary Clinton, che nei sondaggi a livello nazionale vede un progressivo tracollo. Il magnate ha superato per la prima volta l'ex segretario di Stato nella media delle proiezioni di RealClearPolitics, con il 43,4% contro 43,2%.

Mentre Wall Street Journal e Nbc News indicano che il candidato Gop ha ridotto il distacco a soli tre punti percentuali (46% a 43%), un dato che rappresenta il margine più basso dopo il vantaggio di 11 punti che l'ex first lady aveva in aprile.

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